Di lui si conoscono soprattutto le imprese belliche: la conquista della Gallia, la battaglia di Farsalo, le guerre in Spagna e Africa. Ma la mostra dedicata a Giulio Cesare – che raggruppa circa duecento opere tra sculture, monete, gioielli, scritti e dipinti – restituisce il ritratto di un personaggio dalle molteplici sfaccettature e dalla ricca personalità, che non si espresse soltanto attraverso le campagne militari.
La rassegna si apre con tre monumenti-simbolo. Si comincia dal ritratto detto
Cesare Chiaramonti, risalente al 30-20 a.C., con la testa in marmo bianco che rimanda l’immagine dell’uomo nella sua maturità. Le rughe solcano la fronte, gli occhi sono infossati. Accanto, il famoso globo in bronzo dorato dell’obelisco vaticano, proveniente dai Musei capitolini. Per molto tempo si è pensato, anche grazie a fonti del XII-XIII secolo, che al suo interno fossero custodite le ceneri del divo Giulio. Il globo era posto sulla sommità dell’obelisco in piazza San Pietro, portato da Caligola a Roma. Fu solo nella seconda metà del Cinquecento che Domenico Fontana, incaricato da papa Sisto V di spostarlo nella sua attuale collocazione, poté accertare che la sfera conteneva in realtà soltanto ruggine e ferro.
L’altare di Augusto (o dei Lares) del 12-2 a.C. è l’ultima opera della sala. Tutti e quattro i lati sono decorati da bassorilievi e un’iscrizione recita in latino: “
Il Senato e il Popolo Romano [hanno dedicato l’altare] all’imperatore Augusto, figlio del Divo Cesare, Pontefice Massimo, Imperatore, Console e detentore della Potestà Tribunalizia”.
Caio Giulio Cesare era nato in una famiglia aristocratica ma povera, che faceva risalire le proprie origini a Enea e ad Anco Marzio, quarto re di Roma. Nel corso della sua vita alimentò il mito attraverso un’intelligente strategia di marketing
ante litteram di sé stesso. Il figlio adottivo Ottaviano proseguì l’opera di divinizzazione, che perdurò durante il Medioevo fino al XIX secolo, quando le sue gesta furono immortalate da numerosi e importanti artisti. Anche il cinema – in mostra si proiettano numerosi spezzoni di film a tema – si è interessato a più riprese alle sue vicende.
Tra le principali opere che Cesare ha lasciato, vanno almeno ricordati il Foro (edificato tra il 54 e il 46 a.C.) con la Basilica Giulia, la riforma del calendario – che contò per la prima volta 365 giorni e rimase inalterato fino alla riforma di Gregorio XIII – e i celeberrimi
Commentarii.
Numerosi dipinti esposti documentano gli elementi salienti della sua vita. Primo fra tutti, la storia d’amore con la regina d’Egitto, Cleopatra, e il suicidio di lei per il morso di un aspide. Risalta tra i quadri sul tema la grande
Morte di Cleopatra di
André Rixens, esponente di spicco della pittura vittoriana orientalista. La regina, priva di coscienza, ha il meraviglioso corpo seminudo abbandonato sul letto. Anche la sconfitta dei Galli è un tema ricorrente, specie nella pittura della Francia napoleonica, come nell’opera di
François Ehrmann dedicata a Vercingetorige o nel dipinto di
Henri-Paul Motte intitolato
Vercingetorige si arrende a Cesare.
A chiusura della mostra, dopo molteplici lavori consacrati alle Idi di marzo, un dipinto di
Adolphe Yvon:
Cesare ritrae l’imperatore su un destriero nero, avvolto in uno svolazzante mantello rosso – il colore riservato ai re – e con un globo terrestre nella mano destra. Due personaggi incappucciati fino ai piedi, che stringono in mano le vanghe simbolo di morte, gli ostacolano il passaggio.