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fino al 3.VI.2010 | Luigi Serafini | Roma, LipanjePuntin

di - 1 Luglio 2010
Luigi Serafini (Roma, 1949), con la sua
personalità artistica simpaticamente anarchica, ha sedotto i più grandi
intellettuali italiani – Zeri, Sciascia, Fellini, Calvino – col suo Codex Seraphinianus,
che prende vita alla fine degli anni ‘70: universo fantastico e
onnicomprensivo, un’enciclopedia dell’immaginario pseudo-scientifica,
sottotitolata da una lingua incomprensibile, tradotta in una grafia
arebescheggiante.

Un testo
che fa il verso ai codici miniati – pubblicato nel 1981 da Franco Maria Ricci,
riedito da Rizzoli nel 2006, esplorato in 100 tavole originali al Pac di Milano
nel 2007 – e che è solo accennato nella equilibratissima mostra che allinea un
sintesi intelligentemente eloquente dell’incessante ricerca di Serafini, libera
da ogni costrizione di correnti, linguaggi, medium, che spazia dalla pittura
alla scultura, dal design alla ceramica.

Una mostra
che ricrea il “personale atelier volante
” dell’artista, non sempre
condivisibile per la connaturata inclinazione al kitsch, al quale si è invitati
da un imponente volatile antropomorfico in livrea e sneaker, in procinto di far
sua una lauta e perturbante prima colazione. Una situazione che, a parte il
paradosso visivo, crea un disorientamento psicologico, in quanto, se il primo
pensiero va al gustoso pane burro e marmellata, il secondo va alla pratica del
cannibalismo: in alto la scena è dominata da un nido con piccoli di rondine in
attesa del famoso pasto, in basso bolle in pentola un grande uovo. Insomma,
niente di più sadico e crudele.

Se
sicuramente è mosso dal gusto della citazione letteraria, la situazione ricorda
anche la consuetudine dello stesso Serafini, che da ragazzino – sedendo accanto
alla nonna confidente – incorreva spesso in una natura non sempre benevola con
i più deboli. Ma questa natura appare più ambigua che matrigna: infatti l’artista
ricorre a un simbolo, l’uovo (presente anche nella riproduzione pop della Grande
Pollarola
), che racchiude in sé il senso della vita, rappresentando la
forma perfetta, ma è inizio com’è fine. Simbolo ricorrente come il cervo, il
suo animale totem, trovando conferma nell’analogia del nome “Luigi”, che in
ideogrammi cinesi mostra i significanti LU (cervo
) I (uno) GI (grande).
Se minor rilievo è
dato al Codex

noto ai più – in galleria è possibile apprezzare un altro viaggio visionario,
ispirato alle Storie naturali
di Jules Renard, una sorta di “microscopio” dell’artista
che “distilla” il mondo attraverso il suo speciale alambicco; una sorta di
scatola delle meraviglie che si apre al fortunato lettore di queste edizioni
limitate, pubblicate per il 60esimo anniversario della BUR: dal “meta-libro
” si giunge al “metà-libro”, così ha recentemente commentato
il passaggio tra la propria opera storica e questo nuovo prodotto artistico.

Rimembrando la
campagna marchigiana, si scopre un controcanto botanico nell’affiancare al
testo di Renard un erbario, fatto “di fogli e di foglie
”, sfogliabile e con foglie
fustellate estraibili. Un racconto in immagini che si fanno oggetto prezioso, perdono
la loro connotazione didascalica e generano ancora una volta un’affascinante
natura parallela.

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mostra visitata il 28 maggio 2010


dal 6 maggio al 3 luglio 2010
Luigi
Serafini – Serafhaus

a cura di Umberto Zampini
Galleria LipanjePuntin

Via di
Montoro, 10 (zona campo de’ Fiori) – 00186 Roma

Orario: da
martedì a sabato ore 14-20 o su appuntamento

Ingresso
libero

Info: +39
0668307780; fax +39 0668216758;
roma@lipuarte.it; www.lipanjepuntin.com

[exibart]

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