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21
gennaio 2010
fino al 30.I.2010 Giacinto Occhionero Roma, Pino Casagrande
roma
Quando la vernice non viene raccontata su una tela o da un cartoncino. Quando è la superficie a imporre il suo fermo-immagine, e la pittura sembra subire un processo di liquefazione. Costretto ad arrestare la sua dissolvenza...
Combustibile per diesel e figlia grezza dell’olio nero, la
nafta gioca con la rima della bella Dafne, fanciulla d’alloro che sfugge all’amore
di Apollo. I due incompatibili personaggi si incontrano per il titolo della
personale di Giacinto Occhionero (Campobasso, 1975; vive a Roma) nello Studio Casagrande,
in cui paesaggi urbani e flore esotiche convivono dietro lastre di plexiglas
grazie a pigmenti, vernici industriali e solventi.
La mostra sembra scrutare la convivenza del paesaggio
toccato dall’uomo, la metropoli corrugata dal grigio delle città dietro lo smog
probabile di nafte, insieme a Isole esoteriche fatte di atolli verdi e rocciosi, e – perché no? – magari
anche di foglie d’alloro. Non c’è nessun vincolo nei paesaggi dell’artista: riflettono
l’uno la disuguaglianza dell’altro, rivelando mondi fantastici, luminescenti e
quasi liquefatti, “densi di atmosfere trasparenti ed evanescenti”, come scrive la curatrice
Patrizia Ferri.
L’uomo e la sua forma fisica non appaiono; la sua presenza
è suggerita solamente dagli oggetti grigio perla che compongono la prima parte
della mostra, come è il fragile carrello del Jetcart che sorregge il motore robusto. I
tralicci e i fili d’erba dei lavori 18 e 81 discutono nella foschia ampia che l’aerografo crea,
ricordando il bitume delle tele di Francesca Napoletano, impastate di olio blu.
La “reverse painting” dei lavori di Occhionero costringe il fruitore a
rimanere attento, intrattenendolo nel momento di distacco che percepisce nel
non venire in diretto contatto visivo con l’opera: le lastre di plexiglas
suggeriscono infatti un riconoscimento fotografico dell’immagine, negato subito
dalla luminescenza sbiadita delle vernici letteralmente sotto vetro. La forza
del colore che brilla nelle velature o che si sgretola nei rigonfiamenti
ammassati qui svanisce, attutita dal peso della lastra, e impedisce il diretto
contatto con l’occhio. Un monito a guardare oltre, per cercare bene e scoprire
la decadenza anche della natura stessa?
Una malinconia di fondo pulsa dietro ogni lastra e gli
atolli-specchio, oltre a essere riflesso delle loro disuguaglianze, subiscono l’alternanza
dell’allestimento, giocato sui rimandi tra un paesaggio e l’altro.
Peccato per l’illuminazione: a volte fioca, a volte
incerta, fa da specchio alle opere già difficili di per sé, rimbalzando sulle
lastre che rincorrono una Dafne intrisa di Nafta.
nafta gioca con la rima della bella Dafne, fanciulla d’alloro che sfugge all’amore
di Apollo. I due incompatibili personaggi si incontrano per il titolo della
personale di Giacinto Occhionero (Campobasso, 1975; vive a Roma) nello Studio Casagrande,
in cui paesaggi urbani e flore esotiche convivono dietro lastre di plexiglas
grazie a pigmenti, vernici industriali e solventi.
La mostra sembra scrutare la convivenza del paesaggio
toccato dall’uomo, la metropoli corrugata dal grigio delle città dietro lo smog
probabile di nafte, insieme a Isole esoteriche fatte di atolli verdi e rocciosi, e – perché no? – magari
anche di foglie d’alloro. Non c’è nessun vincolo nei paesaggi dell’artista: riflettono
l’uno la disuguaglianza dell’altro, rivelando mondi fantastici, luminescenti e
quasi liquefatti, “densi di atmosfere trasparenti ed evanescenti”, come scrive la curatrice
Patrizia Ferri.
L’uomo e la sua forma fisica non appaiono; la sua presenza
è suggerita solamente dagli oggetti grigio perla che compongono la prima parte
della mostra, come è il fragile carrello del Jetcart che sorregge il motore robusto. I
tralicci e i fili d’erba dei lavori 18 e 81 discutono nella foschia ampia che l’aerografo crea,
ricordando il bitume delle tele di Francesca Napoletano, impastate di olio blu.
La “reverse painting” dei lavori di Occhionero costringe il fruitore a
rimanere attento, intrattenendolo nel momento di distacco che percepisce nel
non venire in diretto contatto visivo con l’opera: le lastre di plexiglas
suggeriscono infatti un riconoscimento fotografico dell’immagine, negato subito
dalla luminescenza sbiadita delle vernici letteralmente sotto vetro. La forza
del colore che brilla nelle velature o che si sgretola nei rigonfiamenti
ammassati qui svanisce, attutita dal peso della lastra, e impedisce il diretto
contatto con l’occhio. Un monito a guardare oltre, per cercare bene e scoprire
la decadenza anche della natura stessa?
Una malinconia di fondo pulsa dietro ogni lastra e gli
atolli-specchio, oltre a essere riflesso delle loro disuguaglianze, subiscono l’alternanza
dell’allestimento, giocato sui rimandi tra un paesaggio e l’altro.
Peccato per l’illuminazione: a volte fioca, a volte
incerta, fa da specchio alle opere già difficili di per sé, rimbalzando sulle
lastre che rincorrono una Dafne intrisa di Nafta.
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Intervista con l’artista
flavia montecchi
mostra visitata il 15 dicembre 2009
dal 15 dicembre 2009 al 30 gennaio 2010
Giacinto Occhionero – Nafta & Dafne
a cura di Patrizia Ferri
Studio d’Arte Contemporanea Pino Casagrande
Via degli Ausoni, 7/a (zona San Lorenzo) – 00185 Roma
Orario: da lunedì a venerdì ore 17-20
Ingresso libero
Catalogo disponibile
Info: tel./fax +39 064463480; gallcasagrande@alice.it
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