Forse per le recenti suggestioni olimpioniche, le mostre dedicate in contemporanea dal MAXXI a Francesco Clemente e Iran do Espirito Santo possono anche dare l’impressione di uno slalom (mentale) parallelo. Ora, quando si organizzano competizioni di questo genere bisogna stare attenti alla contiguità dei percorsi, che qui, a parte una generalissima avvertenza circa la comune ricerca degli artisti sulla spiritualità, è assai ardua da trovarsi. Ma forse si deve cominciare a considerare la combinata romana una specialità espositiva con regole tutte sue, come qualche tempo fa -sempre su Exibart- notava Pericle Guaglianone a proposito di Gianni Dessì e Leandro Erlich, insieme al MACRO.
All’esterno del museo, intanto, il gigante (di) Carlo Mollino si svolge indisturbato e solitario. Passiamo dunque alla cronaca diretta delle mostre, che con scarsa fantasia, seguirà l’ordine di partenza visiva dall’interno.
Primo al cancello, Francesco Clemente (Napoli, 1952), con una serie di dodici tele di grandi dimensioni a costituire un ciclo dai sapori orientali (tandoori satori, dove i due termini del titolo, come chiarisce la dotta introduzione in catalogo di Francesco Pellizzi, intrecciano la spiritualità quotidiana di un forno indiano allo zen nero), cui si accompagnano i quattordici piccoli pastelli e sanguigne della serie Valentine’s Key, più radicati invece nell’iconografia cristiana. Secondo Achille Bonito Oliva, Clemente è maestro nel creare “felici cortocircuiti tra Oriente e Occidente”, e i contenuti espressi dei lavori esposti possono forse sprizzare ancora simili scintille, ma con qualche avvertenza. Posto che il tempo passa per tutti -il che, sia ben chiaro, non è necessariamente un male- nel caso di Clemente si ha l’impressione che il trascorrere degli anni stia accentuando una dolenza di fondo che conferisce alla sua incessante ricerca sull’elemento spirituale e l’identità personale i toni di un meditato distacco.
A dividere i percorsi dei due artisti in mostra all’interno del MAXXI ci ha pensato direttamente il secondo, il brasiliano Iran do Espirito Santo, erigendo per barriera visiva una parete interamente scandita da toni di grigio, che introduce a un ambiente labirintico, dove trovano disposizione alcuni dei suoi lavori più caratterizzanti. Un’installazione di specchi con rifrazioni e trasparenze diverse, sculture di alluminio lucido o satinato, scatole di marmo, un giardino di pietre (Corrections C) tagliate sul modello del poliedro che anima la Melancholia di Dürer e una serie di carte dipinte a pennarello nero e il cui titolo, CRTN (abbreviativo di curtain: cortina o velo, naturalmente di Maja, tanto per recuperare qualche atmosfera indiana dalla stanza contigua di Clemente), potrebbe ben adottarsi a connotare la personale in generale. Tutta l’opera di questo artista ancora giovane (è nato a Mococa nel 1963) ma già affermato, tenta infatti la questione della percezione e dell’illusorietà dei sensi, sviluppandosi in un dialogo serrato con alcune delle istanze contemporanee più riconosciute al riguardo e, viene da dire, quasi alla soglia della consunzione. Quello che pare salvare l’operazione del brasiliano dal ridursi ad una mera riedizione di esercizi concettuali altrui, peraltro, è la rigorosa misura caratterizzante la sua ricerca: un’attenzione estrema per l’intervento su forma e materiali in grado di comunicare un’immediata serietà espressiva (con esiti che, per molti versi, ricordano quelli del nostrano Gianni Caravaggio).
Transitando in alcuni curiosi container disposti sul piazzale del MAXXI, infine, è possibile gettare uno sguardo a metà tra il voyeristico e l’antologico sull’opera multiforme di Carlo Mollino (Torino, 1905 – 1973), geniale architetto, progettista, scenografo e fotografo di cui non si sottolineerà mai abbastanza l’importanza nascosta nel definire i canoni estetici del secondo Novecento italiano. Dai disegni per i celebri arredamenti in compensato piegato alle polaroid segrete di nudi femminili, fino ai progetti per sorprendenti esterni e interni di abitazioni civili (tra i quali va almeno ricordata espressamente la mirabile stazione per slittovia al Lago Nero in Val d’Aosta, risalente al 1948), la creatività di Mollino trova nell’inusuale allestimento un espositore assai confacente, dove i frammenti più diversi si ricompongono in un quadro di ricca varietà, probabilmente la sorpresa maggiore di queste olimpiadi artistiche romane.
luca arnaudo
mostra visitata il 23 febbraio 2006
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veramente terribile una battaglia tra titani del non ho altro da dire!
Mostra terribile!