Senza fisionomia e lontane dalle linee formose e caratteristiche, le donne di Silvia Bächli (Baden – Svizzera, 1956) esprimono comunque una certa femminilità. Soggetto principale delle sue opere, sono ridotte a semplici ombre, attraverso pennellate larghe di inchiostro nero su carta. Con un gesto unico e quasi di getto, delicato ma deciso. Seppur ombre, queste donne esprimono dignità e una delicata eleganza. Così nel disegno di una giovane donna che, con sciolta disinvoltura, tiene una mano nella tasca di una severa scamiciata. Oppure esprimono un’esplicita severità, che addirittura si sdoppia nell’autogenerata doppia ombra di un profilo, con i capelli raccolti in un composto chignon. Ma si avverte anche qualche incertezza, nell’incedere esitante di due esili gambe. Mai una figura completa, ma solo dettagli sparsi –profili, busti, gambe, dita– che, mentalmente riassemblati, descrivono il mondo femminile dell’artista svizzera. Un mondo metodico, ordinato, descritto con segni di griglie, a maglie larghe o strette. Un universo che a volte è percosso da eventi imprevisti, che spezzano il regolare corso degli eventi; il mondo ordinato si trasforma in righe nervose e frammentarie. Ma sono attimi. Perché l’atmosfera che si respira di fronte ai disegni della Bächli è armoniosa e pacata, guardata attraverso due occhi vigili e attenti: unica rappresentazione, questa, che conserva un inquietante realismo. Questo disegno, piccolo e solitario, è infatti sistemato in un posto defilato, quasi nascosto, alle spalle dello spettatore, che si sente così osservato, se non addirittura spiato.
I trenta disegni (dal 1996 ad oggi), che sembrano fluttuare nello spazio –grazie anche all’assenza della cornice– sono stati accuratamente installati dall’artista e si dispiegano armonicamente lungo le pareti della galleria, raggruppati o solitari. Come a raccontare una storia. Disegni di ombre che si completano con le ombre reali dell’installazione.
Oggetti di uso comune, scelti dall’artista –un vaso da fiori, una paletta per spaghetti, dei portauovo, un piccolo imbuto, delle formine per dolci- attentamente disposti a terra, morbidamente illuminati da una luce radente, perdono completamente il loro colore: la luce radente crea, sulle pareti e sulla volta del secondo spazio della galleria, delle strane ombre, quasi antropomorfe. Conosciuta e molto apprezzata all’estero, Silvia Bächli inizia la sua attività verso gli anni Ottanta e, con questa personale, si presenta per la prima volta al pubblico italiano.
daniela trincia
mostra visitata il 24 marzo 2006
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