Indagare le possibili declinazioni del concetto di spazio a partire dal vuoto, ritenuto assurdo da Lucrezio quanto da Parmenide il nulla. È questa l’idea che ispira la mostra promossa da RAM (Radio Arte Mobile) che invita ad esporre uno dei pionieri della video arte, Dan Graham (di cui è visibile uno dei primi film del 1969, Lax/Relax, realizzato da una sua performance) insieme ai più giovani Donatella Spaziani e Gert Robijns.
Partiamo dallo spazio esplorato in senso specificamente fisico da Donatella Spaziani (Ceprano, Frosinone, 1970), la quale si serve del proprio corpo come strumento privilegiato per misurare la relazione tra la figura umana e l’ambiente che la contiene: geometrico o indefinito, respirabile, attraversabile, modificabile eppure inesplicabilmente altro, idealmente complementare. Pensiero che l’artista verifica nel disegno parietale riproducente la propria silhouette a grandezza naturale, chiusa entro una linea di contorno e segnata da tratti paralleli, a marcare l’essenza ontologicamente diversa della sua bidimensionalità rispetto a quella della superficie che l’accoglie. Ma anche nei busti di Grammatiche fossili (2007) dove, sovvertendo il rapporto consueto tra pieno e vuoto, scolpisce corpi intesi come materia “intensiva”: l’hardware fragile, pesante, mortale di un io sono che ha la capacità “divina” –scrive Odifreddi– di muoversi, leggero, dal sonno alla veglia tra desideri che non hanno né scopi né intenzioni.
Se la Spaziani soppesa il limite tra figura e spazio Gert Robijns (Sint-Truiden, Belgio, 1972; vive a Borgloon) sfida il visitatore a trovare i confini tra l’opera e il resto dello spazio. Ricorrendo a un vocabolario di oggetti domestici egli racconta In concert (2007) un’immaginaria inondazione di acqua e suono prodottasi nella camera, di cui elenca gli effetti mettendo in scena quello che resta.
Alla base della sua ricerca c’è un approccio libero e creativo con le cose del nostro quotidiano. Ma cosa succede quando si tratta di persone? Su questo s’incentra la ricerca di Dan Graham (Urbana, Illinois, 1942; vive a New York) che, stimolata dalle terapie di gruppo sperimentate dagli psicologi a fine anni Sessanta, indaga il tema dell’intersoggettività e il rapporto tra soggetto e oggetto nello spazio, come dimostra il nuovo modello di padiglione qui presentato. Realizzato in materiale trasparente, Portal (1992/2004) definisce uno spazio collettivo percorribile fisicamente e visivamente, reso però ambiguo e complesso dalla dualità di trasparenza/riflessione e dall’uso di superfici non rettilinee, che deforma in modo imprevedibile la visione. Analogamente a quanto accade nel video Performances and Stage-Set Utilizing Two-Way Mirror and Video Time Delay, realizzato nel 1983 in collaborazione con il musicista Glenn Branca, dove l’osservare, l’osservarsi e l’essere osservati si amplificano in una pluralità di visione che coniuga insieme passato e presente, percezione di gruppo e del singolo.
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francesca franco
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