Un divenire continuo di guerra e pace, l’uomo distrugge e ricostruisce. È così da sempre. In questa dinamica impossibile da risolvere, solo l’artista può (e deve) cercare il senso. La pensa così
Lida Abdul (Kabul, 1973; vive a Kabul e Los Angeles), a Roma per presentare per la prima volta in Italia i video
War Games (what I saw) (2006) e
Clapping with stones (2005). In mostra in questa prima personale romana anche cinque grandi immagini fotografiche stampate su alluminio, tra cui
White house 2 (2005) e
Bricksellers of Kabul 3(2007).
Le pietre sono il leitmotiv di queste opere, ma più in generale del lavoro di Abdul: persino il suo website si apre con l’immagine di una pietra. Un continuo ritorno alla terra quello dell’artista afghana: “
È come tirare fuori le cose dalla cenere e farle, poi, tornare nella cenere”, spiega l’artista.
Clapping with stones parla di una ferita aperta nel cuore dell’umanità, la distruzione dei Buddha di Bamiyan, colpevoli di essere le vestigia di un passato preislamico:
“
Da bambina queste antichissime statue sono state il mio primo approccio con l’arte. Quando sono state distrutte è come se anche una parte di me fosse stata distrutta”. Le immagini, scandite dal suono dei ciottoli, raccontano il rituale che stanno eseguendo alcuni giovani con le pietre che provengono dai resti delle statue, davanti al grande vuoto nella roccia. In una realtà tormentata come quella dell’Afghanistan, il ruolo dell’arte è fondamentale: “
La bellezza dell’arte è proprio l’azione lenta che compie. Non obbliga a pensare nulla di preciso, ma consente di avere una libertà di opinione che dà un atteggiamento più aperto nei confronti di qualunque altra cosa”.
Eppure non è facile per l’artista riuscire a lavorare nel suo Paese, benché abbia più volte esposto al National Museum of Kabul. Il problema è dovuto in parte alla mancanza di appositi spazi -che siano musei o gallerie private di arte contemporanea- in parte alle difficoltà che comporta l’essere donna: “
C’è sempre qualcuno che ti dice ‘no’, ‘questo non si può, non si deve fare’. Il che è già un limite per qualunque artista. Avere i permessi per fare le performance è particolarmente complicato, quanto al lavoro di filmaker, comporta anche una notevole fatica fisica.”.
Il suo interesse per la fotografia e per il video nasce da un vecchio amore: “
Fin da piccola sono affascinata dal cinema, in particolare dalla relazione tra tempo e spazio che il cinema riesce a rappresentare meglio di altri linguaggi artistici”. Lida Abdul cita il cinema visionario di
Sergei Parajanov, regista georgiano di origine armena, punto di riferimento fondamentale per la sua opera, come del resto
Andrej Tarkovskij.
Tra i progetti futuri, un video prodotto dall’O.K. Centrum für Gegenwartskunst di Linz, in cui un gruppo di bambini s’ingegna per far volare un aeroplano: “
L’aereo, di fabbricazione sovietica, è pieno di buchi di proiettili che i bambini riparano, riempiendoli con batuffoli di cotone. Un’impresa impossibile, ma molto poetica”.