Sten&Lex
è un individuo
unico. Anarchico, anonimo, un po’ donna, un po’ uomo, artista e outsider. Le
cose coincidono, si sovrappongono, si escludono. La Street Art si chiude fra le
quattro mura di una galleria. Anche questa è un’operazione contraddittoria, ma
è la giusta evoluzione, trasformazione, accettazione di un’espressione artistica
che non ha nella sola ed eventuale illegalità il suo più grande messaggio.
Il
“duo” trascina via dai muri delle città un po’ della verve
disseminata e la adatta a un’esposizione formale, tra un vernissage di apertura
e una deadline di chiusura. Che poi l’allestimento in sé non pecchi in termini
di costrizione formale è la qualità propria di una galleria che ha spesso
lavorato con esordienti e privilegiato in parte una certa arte urbana.
Sui
pannelli di grandi dimensioni, in bianco e nero e spesso mezzatinta,
sono
riportati stencil di ritratti fotografici del passato. L’eccesso della grana
fotografica diventa abile pixelatura nell’uso consapevole della tecnica della
cosiddetta Hole School. ‘Hole’ vuol dire buco, gli spazi fra un puntino/pixel e
un altro. Spazio che diventa presenza ingombrante se osservato a distanza
ravvicinata al pannello; che si armonizza con gli altri ai fini della
composizione dell’immagine a distanza ravvicinata. È la vista d’insieme a esser
privilegiata, anche quando è dallo spiazzamento della tecnica nel dettaglio che
non si vuol prescindere.
La
scelta di un figurativo raggiunto per via astratta ha il suo peso.
Nell’abbandono specifico del mito pop delle passate celebrità sui poster
rielaborati s’incontrano i volti di sconosciuti, la cui anonimia trova
riscontro nei numerosi
Untitled che compaiono sulle etichette in galleria. Sono foto
d’archivio, commemorative, celebrative; rappresentano ruoli, professioni,
costumi. Nel percorso suggerito, dell’apparente
Atlas fotografico non sembra esservi
una storia simbolica da ricostruire.
Far
correre lo sguardo nei diversi locali della mostra mette a contatto con una legittima
tecnica artistica, suscettibile di adattamento e mutazione ulteriore. Lo zelo
del duo artistico si realizza, più che nella meticolosa collezione di ritratti,
nella tecnica suddetta, nell’operazione di décollage, che lacera la superficie
della stessa opera. Se dai pannelli pendono brandelli di carta, l’intuizione
circa la deperibilità dei materiali, la loro distruzione contingente intreccia una
stretta relazione con la condizione reale e concreta dell’arte urbana, temporanea
e incline alla distruzione. Quell’instabilità e precarietà che le basta per
fare incursione, creare dissonanze piacevoli nella banalità di un paesaggio
cittadino. Una leggerezza che una mostra “ufficiale” non riesce
comunque a mortificare.
La
galleria è espansa, non ha pannelli divisori, non gioca con particolare effetti
di luce. Mira al contrario a ricreare gli spazi estesi che si trovano
all’esterno, a favorirne il colpo d’occhio, l’orizzonte ampliato e la distanza
di sguardo che i diversi poster richiedono.