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fino al 30.IX.2003 Adam McEwen Roma, Galleria Alessandra Bonomo
roma
Sorry. We’re Dead. Prende un luogo comune. Lo strappa dal suo contesto abituale ci gioca sopra. Benvenuti nel mondo di Adam McEwen: tra frasi scritte sui muri, slittamenti di senso e oggetti banali. Su tutto una vena dissacrante. Un altro fratello di Martin Creed?
A prima vista solo parole. Frasi. Oggetti di uso quotidiano. Uno striscione di bandierine gialle da concessionario di automobili, un’insegna o una targa di quelle appese sulla porta di un negozio, open/closed. Uno specchio di quelli che si trovano tra le stanze di un negozio di scarpe. Tutti oggetti banali, ma ad Adam McEwen piacciono proprio per questo, per il loro lato familiare, comune, per la loro assoluta mancanza di straordinarietà. Stereotipi moderni.
Artista inglese di nascita, americano di vita, McEwen sfrutta la banalità dello oggetto quotidiano, della frase o del luogo comune, per lanciare messaggi provocatori, per scherzare, per stupire. O Per far pensare… I was very/very disappointed. E’ una scritta piuttosto grande, ben leggibile, anche a distanza, è nitida nel suo nero su bianco: salta subito all’occhio. E’ una delle frasi emblema del suo operato artistico. Così come Been down/down so long/ seems like up/ up to me. Oppure I was lost/ lost but now/ now I was down. Il gioco sta anche nelle ripetizioni che caratterizzano ogni capoverso: leggendo velocemente la frase non si vedono, ci si dimentica di pronunciarle. E il senso cambia. Ma le ripetizioni non sono vezzi del loro autore: stanno lì proprio per rafforzare il senso di quanto le parole rappresentano. Anche il suono cambia, si fa più musicale, più ritmato. I hate you/ you because / you make me/ me hate you è un’ altra scritta. Questa troneggia col suo nero evidente su una parete rosa chiaro.
Viene da chiedersi perché sia rosa, del resto nella philosophy di questo artista niente è lasciato al caso. Così il colore della parete è lo stesso delle pagine del Financial Times, il quotidiano d’informazione economica più diffuso al mondo, per la cronaca. L’ artista realizza anche dei poster con le sue frasi. Li dipinge uno per uno, con corpose pennellate di bianco o di nero a sostenere lettere monocolore o a tinte varie come l’arcobaleno. I fogli di carta su cui dipinge sono ancora quelle pagine del Financial Times, che, pur essendo un giornale autorevole e di seriosi argomenti, è anche uno dei più venduti al mondo. E McEwen lo tratta quale oggetto d’uso e di massa, ne modifica gli scopi e lo inserisce nella trama del suo gioco dissacrante. E’ questo il punto: siamo circondati da cose che usiamo ogni giorno, meccanicamente, secondo i dettami della nostra società dei consumi. McEwen mette sotto i riflettori della sua provocatoria analisi la logica strana e brutale che avvolge oggetti e frasi. Non cercate la sua arte nelle forme. Non sperate in foto o dipinti. Solo parole. Fuck off. We’re Closed.
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micol passariello
mostra visitata il 5 giugno 2003
Adam McEwen
Galleria Alessandra Bonomo, Via del Gesù, 62 (centro storico, Pantheon), 06 69925858, galleriabonomo@tiscali.it , lun_sab 15-19
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