Con la mostra di Trastevere prosegue il generoso tentativo di ricostruire la stagione artistica romana dei primi decenni del secolo scorso, indagata negli aspetti in apparenza più marginali. In effetti, da quando Duilio Cambellotti, illustratore e ceramista, è divenuto il centro della riscoperta critica in questione, le arti applicate sono protagoniste di esposizioni come questa, che prende in esame le ceramiche realizzate a Roma e nel Lazio tra la fine dell’Ottocento e le grandi esposizioni di Monza degli anni Venti, ribalta italiana del Decò.
Si comincia con poche teche e pochi pezzi di bislacco eclettismo, vasi moreschi e piatti vagamente rinascimentali di Pio Fabri e Torquato Castellani; se il primo appare decisamente più coinvolto nella prassi dei grandi repertori di modelli stilistici, tanto in voga negli istituti industriali dell’epoca, il secondo si lascia presto contagiare dall’Arte Nuova e sforna piatti di dimensioni ridotte e di forma semplice, con motivi floreali che si dispongono su tutta la superficie. Siamo lontanissimi dai risultati raggiunti in quegli
A questo punto la mostra abbandona la segnaletica storiografica e adotta un criterio tematico, proseguendo con sezioni dedicate agli artisti, agli oggetti d’uso, alle manifatture e infine alle ipnotiche statuine di animali realizzate in piena stagione decò. Dunque i pochi esempi liberty, certo non sorprendenti, introducono il cuore della mostra che situa al 1910 l’inizio del periodo migliore e considera unitariamente i due decenni successivi; la scelta rivela come la questione delle arti applicate tra tramonto del liberty e razionalismo anni Trenta ancora sfugga a un’interpretazione univoca ed esauriente. Meglio allora concentrarsi sulle ciotole di Duilio Cambellotti, forme semplici, della tradizione dei contadini dell’agro romano, rese primitive e preziose dai disegni di tori e cavalli, talvolta appena accennati da depositi di colore.
Il motivo dell’animale è ripreso dagli allievi di Cambellotti. Romeo Berardi è presente con un vaso del 1912 le cui decorazioni risentono ancora dell’influenza di modelli grafici. Allo stesso modo un piatto più tardo di Alfredo Biagini, con le sue geometrie di colore e l’ironia dei riferimenti iconografici, rappresenta una curiosa versione della coeva illustrazione per bambini.
A partire dagli anni ‘20 la produzione delle manifatture romane, numerose e in continuo dialogo tra di loro, si divide tra oggetti d’uso realizzati in serie e condizionati dal ricordo dei motivi decorativi di origine viennese, e statuine impreziosite da colature di colore e marmorizzazioni. L’ultimo pezzo, un babuino nero e totemico di Biagini, chiude idealmente il percorso.
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