Un viaggio tra ideale e reale insieme, quello di Enzo Umbaca (Caulonia, 1960; vive a Milano) che attraversa i luoghi del pensiero di Tommaso Campanella (Stilo, 1568 – Parigi, 1639), dal carcere di Pisa dove è detenuto Adriano Sofri, che nella strenua coerenza con le proprie verità anche nella reclusione si lega idealmente al filosofo cinquecentesco, fino alle terre solari ed aspre della Calabria di Stilo e Stignano, che a più di più di cinque secoli si contendono ancora la nascita del ribelle pensatore domenicano.
Una riflessione che prende le mosse dalla tormentata figura di Campanella, frate, astrologo, rivoluzionario e fautore –idealmente e praticamente– dell’utopia di una realtà-altra, di una Città del Sole libera ed egualitaria, fondata sulla comunanza dei beni, sulla libertà sessuale e su un cristianesimo naturale: un mondo in cui non esiste la proprietà privata ma “Tutte cose son commun” e “quanto è bisogno tutti l’hanno”.
Una lotta alle ingiustizie sociali e politiche che è un’utopia quanto mai attuale. Un “problema moderno” a cui Campanella consacra la vita: perseguitato dall’Inquisizione e accusato d’eresia, scampa la morte fingendosi pazzo e viene condannato al carcere perpetuo dando inizio ad un’incrollabile militanza per cui rimane in galera ventisette anni, durante i quali non smette di scrivere e professare la possibilità di una nuova visione del mondo. E’ questo pensiero utopico, con i suoi risvolti di esclusione, emarginazione civile e condanna sociale, a fare da sottofondo a tutta l’operazione di Umbaca.
Nell’ingresso, simbolicamente, ci accoglie la luce naturale emanata dalla statua di Campanella, lume reale e simbolico di questo percorso: cava all’interno e piena di candele, la scultura illumina l’androne circostante facendosi epicentro ideale tra gli spazi delle due stanze in cui si snoda questo viaggio.
Quella che Umbaca mette in opera è l’indagine e la ri-costruzione di un’identità: identità ideale, attraverso il pensiero e identità materiale, attraverso la terra e il corpo. E’ muovendosi in questa duplice direzione che in una delle sale delle galleria ascoltiamo Adriano Sofri recitare La Città del Sole -Sofri, che come Campanella si fa portavoce di un pensiero senza compromessi- mentre nell’altra sala una video-intervista riporta alla terra originaria del frate per far parlare dopo cinque secoli coloro che di Campanella oggi portano –anche solo nel cognome– la traccia della memoria più terrena.
Eredità intellettuale e morale, orgoglio civile e vissuto popolare s’intrecciano in questa operazione a più voci apparentemente sconnesse che riannodano la speculazione più alta alla natura più terrena: un percorso che rivela –adottando, in un certo senso, il punto di vista di Campanella- un’unità che, travalicando tempi e spazi, sottende e supera la molteplicità del manifestato.
emilia jacobacci
mostra visitata il 22 ottobre 2004
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ok...molto bello ma in due parole...ke vo' dì?