Nel 1927 Heidegger pubblicava Essere e tempo, sviluppando il concetto di Dasein, ovvero l’interrogazione sul senso temporale proprio all’Essere nella sua fenomenologia ontologica. Il filosofo tedesco intendeva, così, l’esistenza come un percorso verso la novità degli accadimenti che permettono di mutare nel corso del tempo (esistere è divenire). Nei nostri giorni l’arte è prevalentemente soffocata dall’ansia di mutare, di divenire, attraverso una corsa verso la novità radicale. Innumerevoli proposte vengono alla luce ogni giorno con un unico obiettivo: l’originalità. E lo spettatore immerso in un sistema anarchico di forme, colore e concetti che convergono senza direzioni specifiche, deve ecletticamente scegliere quelli rilevanti. Una visione dell’arte contemporanea che può essere condivisa o meno, ma dalla quale spunta il progetto Nel Formare di Mauro Panzera. Un’idea che scaturisce da un testo proposto dal curatore -come risultato di una proficua collaborazione con Bruno Corà- con cui ha voluto stabilire una dialettica tra gli artisti e tale concezione dell’arte contemporanea.
Nel primo appuntamento tre artisti divergenti tra loro rispondono alle parole del testo attraverso immagini che rappresentano la propria visione dell’arte. In primo luogo Bizhan Bassiri (Teheran, 1954; vive a San Casciano Bagni), trovando il fondamento della sua ricerca nel Pensiero Magmatico da lui definito negli anni Ottanta, si esprime attraverso un elemento atavico come la luna. Animata dal chiaroscuro di avvallamenti e protrusioni continue, la sua superficie sembra una visione al telescopio delle catene di montagne e crateri lunari. Ma, anche se interpella l’armonia degli elementi concede una leggera evocazione antropomorfica che condiziona sfavorevolmente la compiuta delicatezza del lavoro.
Jannis Kounellis (Pireo, Atene, 1936; vive a Roma), invece, riflettendo sulla memoria storica collettiva, ha saputo rispondere al nuovismo reiterandosi fino a rischiare la perdita di un’aura propria in favore della insistente ripetizione. In Senza titolo, il riproposto sacco di juta si sovrappone alla carta accentuando la tensione tra la forza della struttura e la spinta dei materiali. E come terza risposta, Hidetoshi Nagasawa (Tonei, Giappone, 1940; vive a Milano) volendo restituire all’arte un ruolo armonico e globale, mette a confronto due metafisiche opposte, quella occidentale e quella orientale. Dal lavoro presentato emerge un dialogo tra le linee dritte e rigide del rame e gli scarabocchi arbitrari del nero. Non c’e traccia di supremazie né gerarchie tra la ragione occidentale e l’intimismo orientale che colloquiano parimenti.
Così, origine cosmica, memoria storica e intimismo diventano le tre prime risposte a una particolare visione della problematica artistica contemporanea. Tre lavori che dialogano tra loro creando un gioco del linguaggio -per dirla con Wittgenstein-, un gioco di sguardi attraverso i quali le opere non debbono essere intese quanto elementi singoli, ma nel contesto generale nel quale sono state incorniciate.
angel moya garcia
mostra visitata il 7 giugno 2007
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Tra i più grandi oggi in Euoropa,non teme confronti.