Nel mondo dei cartoni animati, la comunicazione avviene attraverso diversi registri di lettura. Dall’ingenuo, surreale o semplicemente ricreativo, destinato ai bambini, al trasgressivo, critico, sarcastico o cinico rivolto agli adulti. I codici d’interpretazione giocano con il binomio infallibile tragedia-comicità, nascondendo avvedutamente entrambe e celando generalmente un livello nascosto, una visione in cui l’animazione diventa innanzitutto una mascherata e grottesca pantomima del mondo reale.
Questa pantomima viene particolarmente sceneggiata per inaugurare il secondo spazio della galleria L’Archimede, attraverso i lavori di
Silvano Tessarollo (Bassano del Grappa, 1956; vive a Tezze sul Brenta, Vicenza), che presenta una “
retrospettiva parziale che parte dalle cere della prima maturità per poi attraversare il periodo della vetroresina, fino al recupero evolutivo della stessa cera e al preludio della fase attuale, quella finora più estrema per estetica e narrazione”, come scrive il curatore Gianluca Marziani.
Nei due spazi, volutamente autonomi ma intesi allo stesso tempo in una stretta continuità, l’artista veneto ha disposto un gran numero di lavori in cui la linea che distingue l’idea di “buono” e quella di “cattivo”, nei cartoni animati, diventa troppo sottile per essere percepita.
Così, in una prima visione, forse leggera, forse superficiale, la carnalità della materia, le dimensioni in scala umana e il colore delle sculture sconcertano lo spettatore, che dovrà scegliere ulteriormente tra l’ingenuità di attribuire la singolare cromia a quella delle bambole -addentrandosi in una realtà di rievocazioni infantili- oppure il turbamento di dover intravedere quella dei cadaveri, penetrando così nel mondo inesorabile degli adulti.
In questo senso, la sensazione di anormalità è incrementata dalla ricorrenza, in questo periodo della sua produzione, della figura archetipica del topo, rappresentato in chiave antropomorfa e protagonista ossessivo delle sue opere. Così, raffigurando i topi in situazioni e atteggiamenti tipicamente umani, l’artista crea un gioco pungente e ambivalente, in cui la nostra quotidianità diventa assurda e ironica. Una satira di noi stessi attraverso il mezzo che ha strutturato i nostri codici visivi e linguistici nella prima infanzia.
Una proiezione alterata della vita quotidiana in cui si percepisce un rimpianto dell’infanzia perduta o una critica esplicita alla natura della vita adulta contemporanea. Attraverso l’impiego predominante di un materiale, come la cera, che costituisce il principale mezzo a cui la scienza ha affidato sia la conservazione della morfologia umana nei musei di anatomia che la memoria perpetua dei personaggi celebri o popolari nei musei delle cere, dimora di grandi e piccoli eroi.