Luis de Camoes narrava in versi – il poema è del 1575 si chiama O Lusiadas – come fosse stato Ulisse a fondare l’immensa Lisbona: si trattava di un tema che avrebbe avuto particolare fortuna negli anni successivi, quando il Regno di Portogallo si sarebbe trovato unito –di fatto sottoposto – alla Corona spagnola (Filippo II sale sul trono lusitano nel 1580). A quel
Ulisse, l’incendio di Troia, la fuga di Enea diventeranno il soggetto per molte tele, reiterato, variato – di poco – alternato ad un altro rogo di città – questa volta biblico – che può vantare altrettanta fortuna nel repertorio di temi della storia dell’arte, quello di Sodoma ed è Diogo Pereira (di cui sappiamo solo che fu attivo tra il 1630 e il 1658) il pittore apprezzatissimo di fuochi, incendi, torri in fiamme ma anche di Sodome, Purgatori e Inferni (…) frutta, battaglie, burrasche marine, personaggi a lume di candela, così come lo ricorda Pietro Guarienti, autore nel 1753 di alcune vite d’artisti. Se le nature morte o i quadri di generi non sono stati ancora rintracciati e catalogati dagli studiosi, quelli con incendi epici, veterotestamentari o apocalittici sono arrivati fino a noi, mantenendo intatto il fascino occulto, sulfureo, allucinato.
Sono tele in cui il chiaroscuro caravaggesco diventa delirio, in cui le architetture nere, costruite con mano ferma, sono divorate dai vapori rossi, dal baluginare giallo, gli uomini che si salvano sono esserini minuscoli, persi nell’assurdità del tutto e sorprende notare come non siano molto differenti da quei dannati cui è preclusa la luce di ogni salvezza (L’inferno l’allegoria dei Sette peccati Capitali 1640 – 1650 eseguita con l’aiuto di Francisco Viera Lusitano).
Due colori, per il barocco portoghese: il rosso porpora della regalità e l’oro che trasfigura nel bagliore soprannaturale, così ce lo racconta la mostra allestita presso palazzo Caffarelli, dalle visioni di Pereira, alle
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