Nei lavori di Garry Fabian Miller (Bristol, 1957) non ci sono definizioni che vanno oltre la linea dell’orizzonte. Nessuna indicazione di paesaggi ma semplicemente l’idea di un luogo aperto e sconfinato in cui non si frappongono ostacoli alla visione. Otto i lavori in mostra, due dai colori caldi ispirati al dipinto di Gwen John A corner of the Artist’s room (1907-9) e realizzato per la Graves Art Gallery, e sei tratti da Thoughts of a night sea.
Miller ripropone il tema dell’orizzonte con una variante rispetto ai lavori precedenti, perché il processo di realizzazione è questa volta completamente artificiale: la linea che evoca il punto di unione tra cielo e mare è infatti ricavata senza fotografare effettivamente il paesaggio. Di conseguenza si ha l’impressione di spazi solo vagamente terrestri proprio perché artefatti, visioni di qualcosa di infinito più mentale che fisico, difficilmente confinabili entro i limiti dello sguardo umano. Gli spazi di Miller -luoghi meditativi da godersi in solitudine- trasmettono sensazioni di calma e silenzio, di contemplazione e abbandono. L’artista usa gli strumenti della fotografia senza fare fotografia, ma sfruttandone la fonte principale, la luce, ed il luogo deputatole per eccellenza:
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matilde martinetti
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