Nell’inconsapevolezza -e nell’illusione di libertà- del quotidiano, raramente ci fermiamo a riflettere su un inquietante stato di cose: la maggior parte delle nostre azioni e dei nostri movimenti sono registrati da un occhio elettronico, “che tutto vede e tutto sa”. Questa coscienza, se ad alcuni dà un senso di sicurezza e di protezione, ad altri, al contrario, provoca una sensazione di claustrofobico controllo. Quest’occhio sembra rimbalzare, in un’azzardata associazione di idee, e trovare una propria voce negli orwelliani altoparlanti che in 1984 annunciavano il nome dei vincitori della lotteria. Questa entità, che spia e indaga -come nel film di Andrea Arnold, Red Road– è ormai ovunque: all’ingresso dei supermercati, delle librerie, agli angoli delle strade, nei luoghi meno sospetti.
Quest’Occhio, vero più del vero, è stato sistemato da Ciriaco Campus (Bitti, Nuoro, 1951; vive a Roma) proprio all’ingresso di una galleria d’arte. Entrando, e passando attraverso la nota struttura del metal detector, è difficile non farsi prendere da un vago senso di insofferenza e di spiazzamento. Automaticamente lo sguardo è attratto in alto dal monitor a circuito chiuso, sul quale, contrariamente a quanto ci si aspetta, viene rimandata un’immagine che non è la nostra. Quest’ultima sembra essere stata risucchiata nei cavi e nell’etere, intrappolata nei circuiti, ingoiata in complicati processi. Ma poi, alla fine, eccola là. Ricompare. la nostra “ombra” ci viene restituita, e l’inquietudine cessa. Ma nei secondi di scarto tra il rapimento della nostra immagine e la sua restituzione, è inevitabile domandarsi: “Che fine ha fatto? Cosa sta succedendo?”.
Quest’installazione (che trova un’involontaria rimarcazione esterna nella presenza di sbarre sulla porta d’ingresso) è accompagnata da un suono martellante e stridente, tipico delle presse. Rumore che viene da un grande schermo sistemato a terra. Sul monitor si susseguono più di mille immagini che vengono imperturbabilmente schiacciate, pressate e buttate via. Immagini-icone che spaziano dalla pubblicità, con i seduttivi prodotti del mercato (automobili, abbigliamento griffato), a fatti di cronaca (il Cavaliere durante un comizio, Benedetto XVI o il volo dello Shuttle), a colossi del cinema (Al Pacino, Robert De Niro). Per finire con timidi cenni al quotidiano (lo stesso Ciriaco Campus davanti ad una sfilza di elettrodomestici, o il salumiere di un alimentari di Trastevere). In linea con la sua analisi della realtà, e della comprensione di essa come percezione e consapevolezza, l’artista, con questo nuovo lavoro, ci costringe nuovamente a riflettere, a prestare attenzione al dettaglio, a ciò che ci circonda e che passa inosservato. Inoltre, grazie alle opere sparse al piano inferiore con l’intenzione di ri-creare un Magazzino, si può liberamente curiosare nei suoi lavori, anche meno recenti, e ripercorrere così alcune delle tappe del suo percorso artistico (Artigiani 96 e Centro Vetrine, solo per citarne alcuni). Sempre accompagnati dal “blow, blow”, stavolta scritto sul progetto, della pressa.
daniela trincia
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