La Capitale dà doppio diritto di cittadinanza a
Sislej Xhafa (Pec, 1970; vive a New York) nelle sedi del Magazzino d’Arte Moderna – suo “punto di riferimento” a Roma – e in quello spazio del tutto particolare che è Edicola Notte: una vetrina, una vera e propria scatola visiva che gioca sulla possibilità, per chi guardi dall’interno, di vedere senza essere visto.
Nulla di più appropriato nel caso dell’installazione di Xhafa, che invita a spiare – come dal buco di una serratura – una giovane donna di spalle, in una provocazione all’istinto voyeuristico che alberga anche nel più distratto dei passanti.
Proprio lo spiarsi, la smania curiosa d’indagare è caratteristica di questa fase del lavoro di Xhafa, che nel corso della sua carriera ha giocato in maniera eclettica con tutti i media, non ultima la performance. In una sala del Magazzino d’Arte Moderna è infatti appesa un’enorme giacca gialla, ricoperta da nomi di avvocati di Manhattan. Gli stessi che erano gridati dai giovani praticanti durante uno degli happening organizzati da Xhafa.
L’artista kossovaro affronta il tema del rapporto fra comunicazione e realtà politica, e in particolare – nell’opera che dà il titolo alla mostra,
Moulin Rouge – analizza la reciproca influenza di mass media e religiosità. Si tratta di una pagina del “New York Times” che ripercorre gli avvenimenti relativi alla morte di Papa Giovanni Paolo II; un perfetto esempio degli artifici barocchi che legano i due “emisferi”, riecheggiati dalla scelta della cornice riccamente ornata.
L’attitudine concettuale e, per dirla con Achille Bonito Oliva, il suo lavoro “
che opera assolutamente e paradossalmente in uno spirito duchampiano, ma senza l’indifferenza di Duchamp” emerge negli altri lavori in mostra, caratterizzati da un mix di tecnologia ed elemento antropico, profondamente corporeo. È il caso di
Theatre of teeth, tre denti legati alle pale di un ventilatore in funzione, che proiettano la loro sinistra ombra sul soffitto della stanza.
Si avverte così la necessità non di riflettere la realtà, ma letteralmente di “
metterla in questione”: “
Approccio il mondo e la vita con un comportamento primario e istintivo”, sostiene Xhafa. Non ultima viene la volontà di scandalizzare per far riflettere, di provocare un piccolo corto circuito in chi guarda, affinché le certezze sulla società e sulla propria vita siano messe in discussione.
Probabilmente gli interrogativi proposti risultano efficaci perché espressamente rivolti al mondo occidentale. Un mondo che – per citare Paola Nicita, autrice del testo che accompagna la personale – ha fatto dello “
spettacolo dello sguardo” la sua peculiarità, ma anche il suo enorme limite. Sislej Xhafa intende scardinare questo codice e superare gli schemi strutturali che lo fondano. Anche se talvolta l’esito non è esattamente
felice.