Per quanto riguarda gli scatti di guerra, le Scuderie del Quirinale rispondono all’accoppiata
Robert Capa–
Gerda Taro – esposta al Centro Forma di Milano qualche mese fa – con
Lee Miller (Poughkeepsie, 1907 – Chiddingly, 1977) e Tony Vaccaro (Greensburg, 1922; vive a New York).
Sul panorama bellico della Seconda guerra mondiale i due fotografi manifestarono, però, un’evidente differenza di sguardo e coinvolgimento. Miller come corrispondente del gruppo editoriale Condè Nast, Vaccaro come parte dell’83° Divisione di Fanteria inviata nel 1944 in Inghilterra.
Sottile ma vivido risulta, infatti, l’approccio estetico da parte della fotografa di “Vogue”, che si soffermò maggiormente sulla resa visiva dei postumi della guerra, su quella vittoria fatta non solo di liberatori sorrisi ed euforico fermento, ma anche di città in rovina e cadaveri ammassati in fasci di carne senza volto.
Diverso occhio per il fotografo dalle origini molisane, che raccontò con coinvolgente audacia lo sbarco in Normandia, l’offensiva delle Ardenne e la battaglia del Reno. Certo è che tra
La prima immagine, che immortala la Normandia un attimo prima dello sbarco, e la successiva foto,
Dopo l’invasione, che decretò l’avvenuto attacco, manca lo sguardo di coloro che a Omaha Beach arrivarono strisciando nell’acqua. Nella posizione, rispetto a Capa, Vaccaro resta sempre un passo indietro, connotando le sue immagini d’una valenza più documentaristica.
In questo senso,
Il sotto ufficiale Jack W.Rose. L’ultimo passo risulta meno plateale rispetto alla foto del miliziano di Robert Capa, ma di simile intensità di risoluzione.
Il fine ultimo di Vaccaro è stato quello di documentare per informare, in maniera diretta e senza troppi rimandi di sorta; le foto di Lee Miller, invece, molto spesso sono portatrici d’un significato più interpretabile e simbolico. Emblematica la foto
Modelle riposano prima di una sfilata. Quest’immagine, fra le altre esposte, sembra stridere: tre modelle sono distese sul pavimento in un momento di siesta; la stanza è spoglia, a esclusione di un tavolo su cui sono appoggiati i cappelli e i pellicciotti; una panca capovolta fa da cuscino per le loro teste.
L’essenzialità e la precarietà in stato di guerra e la raffinatezza del mondo della moda contrastano, ma allo stesso tempo conferiscono all’immagine la sua forza. Un’energia che Lee Miller aveva calibratamene cercato e ottenuto.
Piccolo neo non tanto dell’esposizione ma del suo allestimento risulta la presenza di
Picasso nel suo studio di rue des Grands Augustins. I ritratti che durante la metà degli anni ’40 la fotografa americana fece a intellettuali, artisti e scrittori sono di grande importanza e bellezza, ma l’inserimento di quest’immagine all’interno di un’esposizione focalizzata esclusivamente sugli scatti di guerra risulta un po’ forzata.
In conclusione, al di là della risonanza, giusta e meritata, che Lee Miller ebbe nel campo della fotografia e della conoscenza dettagliata che si ebbe nel tempo del suo lavoro, le foto di Vaccaro risultano maggiormente intrise di quel “
qualcosa di nuovo che ti sconvolge” di cui parla Susan Sontag.