La Pelanda, come tutte le strutture che formano il Macro Testaccio, è un luogo dove il recupero di un’area dismessa si è trasformato in un intelligente acquisizione di ampi spazi espositivi, a loro modo caratteristici; un luogo magari un po’ inquietante se si pensa ai suoi trascorsi (la lavorazione dei suini), ma che ben si presta ad essere abitato dalle sculture di Aron Demetz (Vipiteno, 1972; vive a Selva Gardena). E se il posto è particolare, non sono da meno le opere di Demetz, sapiente mix tra linguaggio figurativo classico ed azione avanguardista, col risultato di un’umanità dal fascino sottile, estremamente concettualizzata, che colpisce l’occhio e la mente.
Articolata in quattro ambienti differenti per proporre altrettante sezioni di ricerca, la mostra è un godibilissimo allestimento della produzione più recente dell’artista, avviato da un breve video introduttivo che racconta un po’ di pratica operativa demetziana; non tutta ovviamente, ma quanto basta per togliersi qualche curiosità sul processo creativo di alcuni pezzi esposti, come le Resine, sculture ricoperte – in maniera parziale o totale – con essudati di pino, dalla bellezza anticonvenzionale, quella che da un lato richiede di essere osservata con attenzione in ogni dettaglio levigato o appena sbozzato che sia (e ce ne sono), ma che dall’altro impressiona per via di quelle stratificazioni livide create sui corpi a simularne una pelle. L’approccio è sicuramente d’impatto, amplificato poi da una disposizione non eccessivamente schematica che rafforza il rapporto opera-spazio-fruitore: in tal senso spiccano le sculture senza piedistallo, e spicca soprattutto la possibilità di avere un vero faccia a faccia paritario con esse, un vis à vis diretto e muto, lontano dalla trascendenza propria della posizione sopraelevata.
D’altronde i procedimenti concettuali ed operativi di Demetz sono un punto di forza, e si rivelano interessanti già solo leggendoli “sulla carta”, nei totem disposti ad illustrazione di ogni gruppo scultoreo: tra tanta manualità di livello, colpisce la negazione del tocco umano in figure realizzate meccanicamente – Advanced minorities – forse quasi più delle escrescenze (funghi o peluria legnosa) presenti sui loro corpi; che Demetz non sia artista pedissequamente attaccato alle “consuetudini operative” lo si evince anche dal doppio uso che fa del bronzo, liscio e totalmente classico in Homo Erectus, alternativo ne I Radicanti, post carbonizzazione e che di quest’ultima imita minuziosamente le caratteristiche, rendendo difficile accorgersi di un trompe l’oeil materico in gran parte dovuto a funzioni pratiche (il bronzo è più resistente e durevole del legno carbonizzato), ma che per resa finale stupisce veramente. E infine, in un ambiente come la Pelanda ci si può permettere degli azzardi espositivi molto scenografici: bisogna alzare lo sguardo per osservare Heimat, grande scultura appesa alla struttura dei binari che un tempo trasportavano gli animali macellati, esempio di un perfetto utilizzo/riconversione a scopo espositivo di elementi preesistenti.
andrea rossetti
mostra visitata il 3 luglio 2012
dal 27 giugno al 30 agosto 2012
Aron Demetz – Il Radicante
A cura di David W. Pairone
La Pelanda
Piazza Orazio Giustiniani 4 (00153) Roma
Orario: da martedì a domenica 16 / 22
Ingresso libero
Info: tel +39 060608 – macro@comune.roma.it – www.museomacro.org