Ha fatto del viaggio la sua dimensione ideale e necessaria, il perno di tutta la sua ricerca (non a caso i suoi spostamenti subiscono costante mappatura sulla rubrica geagrafie tra le pagine di Exibart.onpaper): un percorso di dedizione alla differenza e all’incontro, un’esplorazione di territori e storie da cui attingere senza sosta. Strade, paesaggi, volti, scovati per caso… Non solo reportage dunque, nel lavoro di Gea Casolaro. L’attitudine all’osservazione e alla conoscenza s’innesta su processi di fruizione personale e intima, conducendo una riflessione sul ruolo e la funzione del ricordo, dell’ascolto, del racconto, sul rapporto tra consistenza della cosa e statuto dell’immagine.
La personale al teatro India regala uno spaccato della sua produzione. Nella serie Maybe in Sarajevo i segni delle devastazioni post belliche lasciano il posto a scorci urbani che non coincidono con l’immagine stereotipata della città. Ogni foto prende il nome di una diversa città del mondo –evocata nell’aspetto e nell’atmosfera- restituendo la bellezza e l’energia di un luogo che vuole sopravvivere alla sofferenza.
Il polittico Ricordando E. Hopper appartiene al ciclo ispirato ad alcuni maestri della storia dell’arte: scene ritagliate dal flusso degli eventi, sottratte alla casualità del quotidiano, richiamano le ambientazioni di famosi dipinti. Non tanto la volontà (banale) di trovare corrispondenze, quanto una riflessione sulla capacità plastica della mente di modellare la realtà su immagini artificiali incamerate e stratificate.
Prezioso il lavoro To feel at home. Agli abitanti di due paesi confinanti, Germania e Repubblica Ceca, viene chiesto di descrivere l’esterno della propria casa. L’artista accosterà poi ai testi originali le fotografie di abitazioni corrispondenti, situate dall’altra parte del confine. Un intreccio di livelli e di chiavi di lettura che, muovendo dal concetto/realtà di frontiera, gioca col tema dell’oggetto e della sua rappresentazione.
Nella stanza adiacente la recente opera video, Volver atràs pasa ir adelante. Buenos Aires, 2003: un’inquadratura fissa riprende la corrente di passanti che transitano di fronte l’ingresso di un centro commerciale. La scena viene alterata da un effetto di slow rewind: gli “attori” inconsapevoli camminano all’indietro descrivendo un tempo surreale. E’ il tempo della memoria irrisolta, dell’oggi risucchiato verso una storia trascorsa ma ancora incombente. Un tempo nullo, una risultante sospesa e concettualmente immobile. Due bande dello schermo riportano statistiche economiche, politiche e sociali sul periodo della dittatura e sull’attuale crisi in cui versa l’Argentina. L’audio in presa diretta –il brusio della folla confuso con le voci dei manifestanti che protestano per il blocco dei conti bancari- contribuisce all’effetto di stordimento. Sulla schermata nera finale una didascalia aiuta a ricomporre il senso. Il centro commerciale era uno dei centri di detenzione in cui si consumavano torture durante il regime.
helga marsala
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