Prosegue a Villa Massimo, sede dell’Accademia Tedesca, il ciclo
Soltanto un quadro al massimo, progetto ideato da Ludovico Pratesi e Joachim Blüher, direttore dell’Accademia. La rassegna prevede la contrapposizione creativa di un artista italiano e di uno tedesco, grandi nomi del panorama artistico mondiale che si sono susseguiti e si susseguiranno in un contesto pensato per il “grande pubblico”. A confrontarsi sono le rispettive fame o il loro “reale” valore artistico?
Dopo
Enzo Cucchi e
Georg Baselitz,
Jannis Kounellis e
Jörg Immendorff,
Emilio Vedova e
Markus Lüpertz,
Marisa Merz e
Wolfgang Laib,
Michelangelo Pistoletto e
Rosemarie Trockel,
Grazia Toderi e
Tobias Rehberger, è la volta di Vanessa Beecroft e Wolfgang Tillmans.
Sulla parete destra,
City di Tillmans; su quella sinistra,
VB53 31 NT di Vanessa Beecroft. A destra un’opera che, oltre a essere opera di contenuto, lo è anche e soprattutto per la tecnica usata.
Wolfgang Tillmans (Remscheid, 1968), infatti, espone una riproduzione fotografica di un suo scatto precedentemente ingrandito, modificato e fotocopiato, che ritrae una veduta dall’alto di una città che pare Beirut. La questione della riproducibilità dell’opera d’arte torna a far parlare di sé.
“
L’opera d’arte deve essere esperita in un momento preciso, in un hic et nunc irripetibile, dove essa ci si presenta in una dimensione sacrale”: questo scriveva Walter Benjamin in
L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, prendendo atto, però, della perdita di tale “aurea” sacrale con l’avvento della tecnologia. Tillmans ritrae quest’avvento in maniera sagace, privando l’opera fotografica della sua unicità, ma ridonandogliela in altro modo. La fotocopia dell’originale viene, infatti, fotografata dall’artista tedesco per generare qualcosa di nuovo, qualcosa che è sorto dalle ceneri di altro.
Vanessa Beecroft (Genova, 1969; vive a Long Island), invece, sull’immenso pannello di sinistra propone la riproduzione fotografica di una sua performance, tenutasi nel 2004 al giardino botanico di Firenze. Una Venere dalla chioma botticelliana s’innalza, erotica e aggressiva, in tutta la sua nudità. L’asprezza e l’approccio scioccante dell’artista italiana risuonano ormai persistenti come marchi di fabbrica.
I due pannelli, dalle simili immense dimensioni, paiono pronti al duello. Una di fronte all’altra, le due opere si fronteggiano a colpi di stili differenti e di diverse simbologie. Il lavoro del tedesco si contraddistingue per una panoramica dall’alto, geometrica e de-umanizzata; l’artista italiana, invece, usa il fascino femmineo e la voluttà che gli è propria per rappresentare una natura potente che di rigoroso ha ben poco.
Visualizza commenti
povero Tillmans
uao che mostrona... continuiamo così, sempre col minimo sforzo, il minimo impegno
mamma mia di sto pratesi non se ne può più!