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nascita del movimento futurista, vi è anche quella di Yoko Ono (Tokyo, 1933; vive a New York),
che torna a esporre in una galleria italiana dopo 14 anni di assenza e il
conferimento del Leone d’Oro alla carriera nel 2009. E lo fa attraverso
l’ennesima e finissima operazione intellettuale che guarda al passato ma è
rivolta al futuro.
Lo dimostra ad esempio l’uso che fa di un cannocchiale,
uno di quelli che c’erano una volta nei parchi e sulle terrazze, investito di
una nuova funzione mediatica, strumento attraverso cui guardare a una nuova
era, a una nuova terraferma, di approdo e di colonizzazione. Sullo sfondo, la
gigantografia della celebre foto dei cinque iconoclasti (Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni, Severini) a Parigi nel 1912, venerati come
rockstar nei poster appesi nelle camerette, come Beatles ante-litteram, mentre
ai loro piedi sorgono cinque lapidi di marmo bianco.
Tre installazioni concettuali, dense di rimandi artistici
e personali, abitano la sala. Sulla parete sinistra, un tavolo dove sono poste
una stampella e i celebri occhialini da sole rotondi che dialogano con una
piccola cartolina riproducente La Materia (Boccioni, 1912). Alla parete opposta, un altro
tavolo con sopra un cappello rosso, uno di quelli che l’artista è solita
portare, che riecheggia quello indossato dalla grande donna nel celebre La
Risata (Boccioni,
1911). Al centro, il foglio accartocciato della pagina de Le Figaro del 20 febbraio 1909 con il noto
proclama che esalta l’energia, la temerità, il coraggio, l’audacia, la
ribellione, la velocità.
È stata proprio la lettura del Manifesto marinettiano in occasione di una
mostra alla Tate a far innamorare Yoko dei futuristi, e in particolare della
loro brama creativa, di quell’energia incontenibile che si sarebbe ritrovata
simile solo nel rock e che sembra pericolosamente andata perduta. L’artista
riflette dunque sulla capacità e sul bisogno di rompere gli schemi per guardare
al domani con occhi diversi, per una nuova arte, per una nuova società.
In molti hanno storto il naso nel vedere accostati gli
artisti futuristi, che elogiavano la velocità e le macchine, a uno dei nomi
simbolo del pacifismo. Al di là di un giudizio storico e artistico superato e
superficiale, ciò che qui Yoko Ono intende mettere in luce ed esaltare è la
carica eversiva e innovatrice alla base del movimento. D’altronde, il più
grande esperto vivente del futurismo, Enrico Crispolti, ha più volte ribadito
la necessità di non preferire pregiudizialmente la fase iniziale – gli anni ‘10
– perché libera politicamente, rispetto alla seconda – gli anni ‘20, sotto il
fascismo, per intenderci – poiché proprio in quest’ultima si sarebbe attuata
quella “ricostruzione futurista dell’universo” tanto annunciata.
Altra ricorrenza, altra celebrazione. Il 9 ottobre 2010,
70esimo anniversario della nascita del grande John Lennon, è stata proiettata su una parete
esterna del padiglione del Macro Testaccio l’opera Film No. 5 (Smile), realizzata da sua moglie Yoko
Ono nel 1968 che ne ha registrato ad alta velocità il sorriso. Il sorriso di un
artista iconoclasta e futurista a modo suo.
Yoko Ono a
Venezia
Il Leono
d’Oro a Yoko Ono
giulio brevetti
mostra visitata l’8 ottobre 2010
dal 25 maggio al 30 ottobre 2010
Yoko Ono – I’ll be back
Studio Stefania Miscetti
Via delle
Mantellate, 14 (zona Trastevere) – 00165 Roma
Orario: da
martedì a sabato ore 16-20 o su appuntamento
Ingresso
libero
Testo critico
di Francesco Zanot
Info: tel./fax
+39 0668805880; mistef@iol.it
[exibart]
Personalmente, penso che la contemporaneità del futurismo col fascismo sia incidentale e restrittiva. La ricerca futurista sulle dinamiche è tuttora presente e non mai finita.
Bello che sia il tocco di farfalla di Yoko a farcene sospettare caratteristiche altre da quelle canoniche.