Adesso c’è una grande voliera. È l’installazione di Jannis Kounellis: sarà abitante inconsueta – insieme ad altri undici interventi di altrettanti artisti – dell’area archeologica di Ostia Antica, in un percorso che va dalla Sinagoga al Campidoglio. Abbinamento non più inusuale, quello tra opere d’arte contemporanea e contesto antico (ne abbiamo esempi brillanti o meno riusciti, ma mai del tutto esenti da un certo fascino), ma sempre transitorio: giusto il tempo di una mostra.
Potrebbe essere questo il filo che lega dodici opere differenti e un luogo in cui il passato è sedimentato, ma ancora reattivo, percepibile; il fatto che la mostra abbia inaugurato lo scorso 16 ottobre, data anniversario della deportazione degli ebrei romani, esplicita e rende emblematico un riferimento costante da cui non si può prescindere: il rischio poteva essere di incappare (con tutte le migliori intenzioni) nel monumento, nella celebrazione sentita– è indubbio – ma tradotta in rituale. Ci sembra non sia successo. Ci sembra che nelle installazioni – magari non tutte con la stessa efficacia – realizzate dagli artisti appositamente per questi spazi, l’idea di memoria (o di tributo alla memoria) sia prepotentemente viva e soprattutto – a dispetto del passato cui è legata per antonomasia – sia declinata al tempo presente.
Ai resti della Sinagoga si arriva attraversando un grande prato, una spianata erbosa che già da lontano lascia intravedere la gabbia con i volatili (prigionieri o inquilini rassegnati) di cui parlavamo in apertura; si vede anche, nitidamente, la bandiera bianca che è il contributo di Fabio Mauri: un drappo di stoffa che sventola in segno di resa, quasi fosse rimasto su un campo di battaglia, come il segno di una tregua dimenticata.
Poco oltre c’è il mosaico fiammeggiante di Gal Weinstein e una testina graffita opera di Marisa Merz, che è semplicemente poggiata contro quel che rimane di un imponente muratura; poi l’installazione sonora di Susan Philipsz e l’intervento di Sol LeWitt: un semicilindro – ricostruzione dell’edicola dove erano depositati i rotoli della Torà – in cui si alternano fasce di mattoni chiari e scuri, una sorta di evidentissimo dichiarato falso storico.
La scala di tubi di ferro, opera di Enzo Umbaca si arrampica fino alla sommità di una delle rovine più alte, noi dal basso non riusciamo a percepire se continua ancora, mentre bisogna attraversare un corridoio buio scavato nella roccia per raggiungere l’installazione di Arnold Dreyblatt, in un’aula dal soffitto basso. Su un cilindro di rete a maglia finissima è proiettata – a ciclo continuo – una lunga lista di nomi
Tornati all’aperto è un respiro rumoroso ad annunciare la presenza dell’intervento di Emilio Fantin, come se fossimo prossimi ad un gigante addormentato. Invece, poco dopo, in una stanza ricavata tra grandi frammenti di muri c’è solo un lettino. Sotto le coperte – sporge solo la sommità della testa – chi dorme è poco più di un bambino (precisazione d’obbligo, ovviamente non si tratta di una persona in carne ed ossa…). Le lenzuola si alzano e si abbassano leggermente.
Arte in memoria è anche una mostra fotografica allestita presso la Centrale Montemartini: undici lavori di artisti (Andre, Baselitz, Chillida, Kounellis, Penone, Serra, Horn, Reusch, Signer, Nordman, Kuball) dedicati alla Sinagoga di Stommeln, l’unica della provincia di Colonia superstite al nazismo.
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maria cristina bastante
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Una bella esperienza, senz'altro da non perdere! Quella di mettere insieme le opere di artisti contemporanei ad Ostia Antica. Un invito al pubblico molto interessante.