Ci sono più obelischi egizi a Roma che nel resto del mondo. Egitto compreso. Ed è proprio a Roma che Giuseppe Salvatori (Roma, 1955) presenta il suo ciclo di quattordici opere raffiguranti gli obelischi della capitale. L’obelisco non è un soggetto nuovo per lui. Fin dagli anni Ottanta l’artista ha dipinto questo raccordo tra cielo e terra, simbolo di trascendenza e immortalità. Affascinato dalla capacità magnetica e misteriosa che a distanza di millenni questo simbolo di potere riesce ancora ad esercitare, Salvatori coglie appieno la forza, propria dell’obelisco, di annullare tutto ciò che ha intorno. Tanto da definirlo “stele di avvistamento per un atterraggio ideale, simbolo che non si riesce mai a comprendere fino in fondo”.
La verticalità, l’elevazione verso il cielo, è un tema che ricorre spesso nelle opere dell’artista: ciminiere, torri, mulini, minareti, riletti dall’artista perdono materialità, ma la loro forma viene esaltata dal un segno essenziale, rigoroso, grafico e dal personale uso del colore. Realizzati nel 2005, gli obelischi in mostra sono tutti acrilici su tavola, tecnica che ha consentito di ottenere il grigio compatto dei fondi e le sfumature di alcuni particolari, impossibili da raggiungere con altre tecniche a lui più consuete come la tempera e l’acquerello.
Ma non solo obelischi. Salvatori ne fonde la forma essenziale con altri elementi a lui cari: vegetazione, animali, uomini in divisa. Componenti inserite con lo scopo di contrastare e dare dinamicità alla massa scura del monolito. Ed è cosi per gli obelischi gemelli e contrapposti di Villa Borghese, dove al centro si crea una circolarità di forme floreali che ricordano la croce, o meglio la svastica, quella arcaica, simbolo di amore e vita. L’obelisco Sallustiano, invece, è accarezzato da strisce irregolari bianche, che ricordano drappi o alghe marine, che sembrano avvolgerlo con un movimento lento. Quello Vaticano ha un grappolo d’uva, silhouette scura che penetra verticalmente nella base bianca dell’obelisco conferendogli leggerezza. La massa chiara delle basi alleggerisce la struttura architettonica indebolendone in qualche modo la forza di gravità.
“E’ la prima volta –afferma l’artista- che do tanto spazio alle basi, prima preferivo poggiare l’obelisco a terra e ritrarre solo la stele”. Quello della base degli obelischi è stato sempre un problema per coloro che ne dovevano progettare l’inserimento urbano o dovevano ritrarli, per una questione prospettica che rischia di falsarne l’effetto visivo. Anche Yves Klein conosceva bene questo dilemma, tanto che a Parigi, negli anni Sessanta, per un suo lavoro sull’obelisco di Luxor a Place de la Concorde scelse di illuminarne con un potente fascio di luce blu solo la parte alta, lasciando in ombra la base in modo che non si vedesse.
Presentata da Arnaldo Colasanti, questa mostra ha il merito di mostrare in uno spazio raccolto e allestito con rigore, una sintesi dell’opera di Giuseppe Salvatori, artista colto e coerente, costantemente impegnato nella ricerca, supportato dall’antica passione per i classici storico-filosofici, perenne fonte di ispirazione per la sua produzione.
pierluigi sacconi
mostra visitata giovedì 27 ottobre 2005
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