Eccole, le “machines à penser di Maurizio Cannavacciuolo (Napoli 1954, vive a Cortona). Nelle dieci tele ad olio esposte, di diverso formato, predomina un rosso acceso. Questo colore, intrecciato all’oro, crea una fitta e fantasiosa griglia, astratta e figurativa, entro la quale si nascondono e prendono forma le figure di un vasto e complesso universo. Figure e spazio si smarriscono nella ricchezza cromatica perdendo completamente profondità.
Le opere dell’artista si sviluppano solitamente su due piani. Il secondo piano è quello che viene fuori e si svela all’occhio dell’osservatore solo prestando attenzione, facendo un ulteriore sforzo di lettura. Dopo aver scomposto tutte le parti della tela. Stavolta però il secondo piano sembra prepotentemente conquistare il primo, imponendosi con la durezza del nero, colore della forza.
In realtà, nati come parte di un dittico, alcuni lavori sono ora esposti singolarmente; il dittico mostrava, infatti, lo stesso soggetto che da un lato si scioglieva e dall’altro era a pezzi. Un confronto tra due distinti segni, l’uno più corposo, l’altro più elementare, che rendeva evidente la struttura calligrafica del lavoro. Melting Italy è uno di questi dittici: l’Italia che si scioglie, che fonde. Lo stesso segno, e il colore che cola sulla tela, sembrano commentare visivamente l’incertezza dell’attualità politico-economica del Bel Paese.
In altri lavori, invece, troviamo l’ossessiva ripetizione di alcune figure, come la rana o l’orsacchiotto, che si trovano singole, di notevoli dimensioni a ricoprire l’intera tela, o ripetute a dimensioni più piccole. Un bestiario casuale, utilizzato dall’artista con intento squisitamente decorativo, con una ripetizione pressoché mantrica, che aumenta la compiacenza grafica senza alcuna concessione espressionistica.
Canavacciuolo attinge dall’immaginaire populaire per far riconoscere allo spettatore le forme e le figure prelevate. In Throw me up si origina una sorta di corto circuito: l’uomo inginocchiato, che appare in negativo nel triangolo nero che sgorga dalla bocca di un profilo posto in alto, può apparire e vivere solo se c’è tale rigurgito, e per questo la figura inginocchiata invoca il conato.
L’ironia, il ridicolo, l’assurdo sono sempre presenti, quasi una sigla dell’artista, come in Tatoo you: tre orsetti affiancati, due dei quali guardano di sottecchi il terzo, dall’aria soddisfatta e compiaciuta, forse per l’attenzione a lui prestata da una figura la cui testa si va a posizionare nella parte bassa del terzo orsacchiotto. Ma è qui che è richiesto lo sforzo di attenzione visiva e mentale, per raccogliere le sfumature, gli indizi e soprattutto l’ironia. E l’indizio è piccolo, nascosto: un piccolo tatuaggio posto sul dorso dell’orsacchiotto che si ripete anche nel servizievole omino: un segno distintivo che li accomuna e dà loro un senso di appartenenza ad uno specifico gruppo. “La mia è un’operazione assolutamente proletaria”, spiega Cannavacciuolo, “per cercare di dar fastidio ai benpensanti, per richiamare al disordine disciplinato”.
daniela trincia
mostra visitata il 4 novembre 2006
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Certo,vedere Cannavacciuolo,così giovane e bravo un pò in disparte non è il massimo e i suoi semicloni(Arruzzo,Mastrovito etc.)coccolati.