Il referendum del 1987 ha sancito la messa al bando della produzione di energia nucleare nel nostro Paese. Da allora, le centrali continuano a vivere silenziosamente, popolate da pochi abitanti, che lavorano per portare a termine il lungo processo di messa in sicurezza e smantellamento degli impianti.
La Sogin, azienda che gestisce l’attività delle centrali in questa delicatissima fase, insieme al Ministero dello Sviluppo Economico e alla Parc ha promosso un’interessante iniziativa di documentazione artistica e letteraria, per salvare dall’oblio e restituire dunque alla memoria collettiva un momento cruciale della storia italiana. Un libro, con un testo dello scrittore Tommaso Pincio ricco di riferimenti autobiografici, riflette sulla fascinazione collettiva esercitata dall’immaginario apocalittico negli anni ’70; e una mostra presenta l’opera fotografica che
Armin Linke (Milano, 1966) ha dedicato alle centrali.
Per questo intervento, il fotografo lombardo ha scelto una forma espressiva particolare: la fotografia stereoscopica. Inventata nel 1842 e molto sfruttata negli anni ’60 anche nel cinema, è una tecnica basata sulla sovrapposizione di due scatti dello stesso soggetto effettuati da due angolazioni leggermente diverse. A occhio nudo, le immagini appaiono sdoppiate e quasi psichedeliche, contornate da bordi blu e rossi. Indossando le apposite lenti colorate, il quadro si ricompone e acquista concretezza e tridimensionalità.
Gli ambienti interni ed esterni delle ex centrali nucleari di Latina, Caorso, Garigliano e Casaccia prendono così vita e ci inglobano al loro interno. Esploriamo le sale di controllo, i lunghi corridoi disabitati, i capannoni dove si raccolgono le scorie radioattive: ambienti quasi futuristici, impregnati di un’atmosfera sospesa e spettrale. Il fotografo sceglie spesso punti di vista ravvicinati, vere e proprie soggettive che favoriscono l’immedesimazione dello spettatore in un viaggio dall’aura fantascientifica.
La realtà documentata appare straniante anche per un’altra caratteristica: “
Ripercorrere i luoghi del nucleare in Italia vuol dire in un certo senso penetrare in un tempo sospeso. Un tempo tra parentesi, né passato, né presente, né futuro, potremmo dire congelato”, come sottolinea il curatore Bartolomeo Pietromarchi.
I paesaggi esterni colpiscono per la profondità: il terreno sembra sollevarsi e prendere vita, proiettando nello spazio espositivo le luci e i colori di una realtà altra. Muovendosi attorno alla fotografia, l’immagine si modifica, distorcendosi e rivelando un’infinità di dettagli che impressionano per l’effetto plastico e iper-realistico su un mondo pressoché sconosciuto, legato a un immaginario cinematografico e astratto.
Accompagna la rassegna fotografica anche un video, girato da Linke insieme a
Renato Rinaldi e realizzato anch’esso con la tecnica stereoscopica. Il movimento della macchina da presa e l’audio, privo di narrazione fuori campo e registrato in presa diretta, restituiscono un racconto visivo ancor più efficace nel testimoniare l’esperienza industriale e umana della vicenda nucleare in Italia.