Da qualche settimana la “comteaggine” ha ingoiato prepotentemente ogni centimetro dello spazio di Basement Roma, lo ha digerito e lo ha rigurgitato tutto rivisto e corretto, ovviamente al modo libero e scanzonato di Claudia Comte. Il suo linguaggio, infatti, attinge dal vocabolario di certa arte astratta del XX secolo, dal design, dall’immaginario dei cartoni animati e dei fumetti radicato nelle memorie d’infanzia, e rimescola tutto in una maniera personalissima.
Molte le pareti pitturate a motivi bianchi e neri ripetuti ordinatamente e ossessivamente – effetto tappezzeria – che possono essere regolarissimi pois neri oppure strisce, dipinte con il classico rullo da imbianchino, dai contorni slabbrati. Si tratta di un’evoluzione degli zig-zag già visti nella precedente produzione della Comte, da un lato ammiccamento a una certa op art, dall’altro apertura alla manipolazione dello spazio architettonico, al design, quando le superfici delle pareti vengono interrotte da sporgenze tridimensionali, che sembrano tavolini o ripiani, quasi fossero ritagliati dalla parete. L’effetto potrebbe ricordare alcuni lavori ambientali di Tobias Rehnberger, ma più calmi, meno pieni, e che non causano fastidiose emicranie (come il noto bar realizzato dal tedesco ai Giardini).
Altra citazione optical, ma corretta con uno spruzzo di hard edge, sono gli spicchi di forme circolari, composti da linee concentriche, e montati in vari punti della mostra.
Claudia Comte, La ligne claire, vista della mostra
Tutto questo ordine optical così geometrico e artificiale è però bilanciato da elementi e presenze apparentemente appartenenti al mondo dell’organico, così da lasciarci in una condizione di ambiguità in cui individuare un confine netto tra i due mondi, artificiale e organico, è impossibile.
In alcuni punti il colore nero sembra schizzato (l’artista ha usato per esempio uova riempite d’inchiostro e poi lanciate sulle pareti). Le sculture di marmo, sparse negli ambienti, sono riproduzioni esatte (tagliate al laser) della morfologia delle stelle marine, esemplare anello di congiunzione tra organico e geometrico.
Un tocco destabilizzante e ironico lo danno invece alcuni inserti iconici, a stencil, ripresi dall’universo dei cartoon, raffiguranti wurstel, molle spiraliformi, fette di Emmenthal (ironia sulla natia Svizzera?), paesaggi desertici che paiono usciti dal mondo di Wil E. Coyote, e del resto i cactus, tipici di quel mondo, sono tra i soggetti preferiti delle sculture in legno realizzate in passato dall’artista. E anche il titolo stesso della mostra, La ligne claire, allude inequivocabilmente al tipo di linguaggio grafico utilizzato in certi fumetti, a partire dalle creazioni di Hergé.
Mario Finazzi
mostra visitata il 5 novembre
Dal 29 settembre al 30 novembre 2017
Claudia Comte, La ligne claire
Basement Roma
Via Nicola Ricciotti 4 Roma
Orari: da lunedì a venerdì dalle 14:00 alle 19:00 e su appuntamento