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11
gennaio 2010
fino al 31.I.2010 Via libera / Apocalypse Wow! Roma, Macro Future
roma
Due mostre che, prese singolarmente, hanno non pochi pregi. Ma che, a volerle tenere insieme (come il progetto comunicativo insiste a fare), risultano incongruenti. Una visita all'ombra del “Checkpoint Mattatoio”...
di Luca Arnaudo
In questo periodo, quando si entra al Macro, da un lato si
trova la mostra documentaria Viva la libertà, dall’altro la collettiva Apocalypse
Wow!
Nella prima, un allestimento oscuro accoglie le memorie
della Berlino che fu, a vent’anni dalla caduta del muro. Superato un telone che
riporta la vecchia dicitura di confine “you are leaving the american sector”, ci si aggira contriti tra
videocronache del formidabile 1989, pannelli informativi, gigantografie, cimeli
vari ed eventuali (gagliardetti della Ddr, suppellettili casalinghe, una
Trabant che fa sempre tanto U2, una divisa militare esposta con una certa
civetteria).
Tutto l’armamentario, insomma, che si ritrova in ogni
medio museo di storia del comunismo allestito nei paesi che di tale storia
scontarono tanto dolorosamente il corso, solo un po’ più multimedia: si tratta,
a ogni buon conto, di un esercizio della memoria utile, di sicuro interesse
didattico.
Nell’edificio di fronte ci s’infila invece in un’orgia di
colori, sfacciata allegria, dark arguto. Trattasi di Apocalypse Wow!, ampia rassegna di alcune vitali
correnti del contemporaneo globale: Pop Surrealism, Neopop, Urban Art, Lowbrow,
PopAganda, e via così.
Difficile selezionare solo alcune opere, perché è
l’insieme in sé a funzionare e divertire: una menzione speciale meritano
comunque le miniature acide di Kill Pixie, il barocco metropolitano di Andras Bartos, i Clayton Brothers, Desiderio, Elio Varuna, il pop politico di Shepard
Fairey (sì,
quello del ritratto para-Mao di Obama), le irriverenti rivisitazioni
iconografiche di Ron English, la mirabile galleria di ritratti freak allestita da Travis
Louie.
Bene, uno esce e pensa: bello (wow!), ma cosa c’entra una mostra con
l’altra? Niente. I due eventi, tuttavia, sono riuniti nella manifestazione
comunale Venti di libertà. 1989-2009, e se si vanno a leggere le introduzioni in catalogo ad Apocalypse
Wow! c’è di che
turbarsi. Si scopre infatti che “i bulldozer, radendo al suolo la cortina di
ferro, aprono la strada alla contaminazione globale. Berlino diventa la città
da conquistare”.
E alla conquista, udite, si muovono “artisti padroni del loro destino che,
col coraggio delle loro idee e della loro fantasia, vogliono entrare nella
storia, abbattendo quel muro d’ignoranza”. Perbacco, il muro sarebbe dunque caduto per far passare
il Ronald McDonald ciccione di Ron English? Mah.
Poco convinto, il vostro critico se ne va al Bar
Mattatoio, giusto davanti al Macro: è un microscopico cubo di cemento, mai
ristrutturato e mal illuminato, ultimo fiero baluardo al montante
infighettimento rionale. E qui, complice una birra, d’improvviso tutto
comprende. Ma certo, l’allestimento è “globbale”, se si entra a destra
(oriente) si va alla mostra dei tristi cimeli, mentre a sinistra (occidente)
c’è il bengodi: l’American Sector! Allora questo non è un bar, bensì il
“Checkpoint Mattatoio”, e i gestori Luigi e Rosa due cortesi ma occhiute
guardie di confine.
Per completare il tutto, tuttavia, si suggerisce un ultimo
dettaglio: perché non costruire nel cortile un muro da far scavalcare ai
visitatori tra le due mostre e, in guisa di vopos, disporre degli zetemas muniti di fucili vinyltoy? Via,
siamo seri: limitiamoci a divertire.
trova la mostra documentaria Viva la libertà, dall’altro la collettiva Apocalypse
Wow!
Nella prima, un allestimento oscuro accoglie le memorie
della Berlino che fu, a vent’anni dalla caduta del muro. Superato un telone che
riporta la vecchia dicitura di confine “you are leaving the american sector”, ci si aggira contriti tra
videocronache del formidabile 1989, pannelli informativi, gigantografie, cimeli
vari ed eventuali (gagliardetti della Ddr, suppellettili casalinghe, una
Trabant che fa sempre tanto U2, una divisa militare esposta con una certa
civetteria).
Tutto l’armamentario, insomma, che si ritrova in ogni
medio museo di storia del comunismo allestito nei paesi che di tale storia
scontarono tanto dolorosamente il corso, solo un po’ più multimedia: si tratta,
a ogni buon conto, di un esercizio della memoria utile, di sicuro interesse
didattico.
Nell’edificio di fronte ci s’infila invece in un’orgia di
colori, sfacciata allegria, dark arguto. Trattasi di Apocalypse Wow!, ampia rassegna di alcune vitali
correnti del contemporaneo globale: Pop Surrealism, Neopop, Urban Art, Lowbrow,
PopAganda, e via così.
Difficile selezionare solo alcune opere, perché è
l’insieme in sé a funzionare e divertire: una menzione speciale meritano
comunque le miniature acide di Kill Pixie, il barocco metropolitano di Andras Bartos, i Clayton Brothers, Desiderio, Elio Varuna, il pop politico di Shepard
Fairey (sì,
quello del ritratto para-Mao di Obama), le irriverenti rivisitazioni
iconografiche di Ron English, la mirabile galleria di ritratti freak allestita da Travis
Louie.
Bene, uno esce e pensa: bello (wow!), ma cosa c’entra una mostra con
l’altra? Niente. I due eventi, tuttavia, sono riuniti nella manifestazione
comunale Venti di libertà. 1989-2009, e se si vanno a leggere le introduzioni in catalogo ad Apocalypse
Wow! c’è di che
turbarsi. Si scopre infatti che “i bulldozer, radendo al suolo la cortina di
ferro, aprono la strada alla contaminazione globale. Berlino diventa la città
da conquistare”.
E alla conquista, udite, si muovono “artisti padroni del loro destino che,
col coraggio delle loro idee e della loro fantasia, vogliono entrare nella
storia, abbattendo quel muro d’ignoranza”. Perbacco, il muro sarebbe dunque caduto per far passare
il Ronald McDonald ciccione di Ron English? Mah.
Poco convinto, il vostro critico se ne va al Bar
Mattatoio, giusto davanti al Macro: è un microscopico cubo di cemento, mai
ristrutturato e mal illuminato, ultimo fiero baluardo al montante
infighettimento rionale. E qui, complice una birra, d’improvviso tutto
comprende. Ma certo, l’allestimento è “globbale”, se si entra a destra
(oriente) si va alla mostra dei tristi cimeli, mentre a sinistra (occidente)
c’è il bengodi: l’American Sector! Allora questo non è un bar, bensì il
“Checkpoint Mattatoio”, e i gestori Luigi e Rosa due cortesi ma occhiute
guardie di confine.
Per completare il tutto, tuttavia, si suggerisce un ultimo
dettaglio: perché non costruire nel cortile un muro da far scavalcare ai
visitatori tra le due mostre e, in guisa di vopos, disporre degli zetemas muniti di fucili vinyltoy? Via,
siamo seri: limitiamoci a divertire.
luca arnaudo
mostre visitate il 9
dicembre 2009
dal 7 novembre 2009 al
31 gennaio 2010
Via
libera. Viva la libertà
a cura di Angelo
Mellone, Lorena Munforti e Giancarlo Riccio
Apocalypse wow!
a cura di Julie Kogler e
Giorgio Calcara
Catalogo
Silvana Editoriale
Macro Future
– Ex Mattatoio
Piazza Orazio Giustiniani (Testaccio) – 00153 Roma
Orario: da martedì a domenica ore 16-24 (la biglietteria chiude mezz’ora prima)
Ingresso: intero € 4,50; ridotto € 3
Info: tel. +39 06671070400; macro@comune.roma.it;
www.departfoundation.or
[exibart]
di GIANCARLO RICCIO
Ringrazio il critico che ha visitato le due Mostre al Macro Future e che offre alcuni spunti interessanti. Per la verità, però, mostre storiche come Viva la Libertà, di cui sono responsabile e Curatore con Lorena Munforti e Angelo Mellone (con gli architetti Capalbo e Bertozzi di Art Media Studio come preziosi collaboratori) sono in sintonia con quanto è stato proposto, ad esempio, proprio a Berlino. E con il Kultur Senat (ovvero l’assessorato alla Cultura berlinese) della capitale tedesca abbiamo collaborato fin dall’inizio della nostra avventura legata all’ideazione e all’allestimento.
La nostra Mostra storica e l’altra vanno inscritte, nel ricco Calendario del Comune di Roma dedicato al Ventennale della caduta del Muro. Il dibattito è aperto e anche il contributo di uno dei Curatori, giornalista e storico di professione, speriamo sia utile.
Nel ringraziare il dott. Riccio per il commento all’articolo, senza alcun spirito di polemica mi limito a far presente come nel testo non si sia affatto contestata la mostra documentaria, nè del resto, quella pop in parallelo, ma per l’appunto un parallelo che finisce per rendere confusa la percezione di entrambe. In particolare, il testo in catalogo di apocalypse wow adombra una lettura sociologico-politica dei lavori in mostra che, mi pare, è troppo forzata nel mettere in connessione pressochè immediata gli eventi storici di cui si occupa la prima mostra con un movimento neopop ora sì in corso a Berlino, ma anche in molti altri luoghi. Spero anch’io che sulla questione si formi una discussione produttiva, e intanto saluto cordialmente.
LA