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Il coefficiente comune ai lavori di Silvia Giambrone (Agrigento, 1981) è l’apprensione. In quelli più espliciti (L’appuntamento, 2011), come nei lavori apparentemente più leggeri e delicati (Made in Italy, 2012), questo elemento, alla fine, inevitabilmente affiora. Perché l’artista vuole individuare e indicare le diverse forme di violenza, “indagare le dinamiche di potere nelle relazioni e in che termini sono esercitate, perché la violenza non è solo quella che si subisce”. Non quelle evidenti, che lasciano segni visibili, ma quelle più profonde e sottili, psicologiche, nonché le impercettibili silenziose tracce che lasciano nel cuore, nell’anima.
È da tali indagini e riflessioni che trae origine il titolo della seconda personale nello Studio Stefania Miscetti. Il danno – riferimento diretto al romanzo di Josephine Hart e al film di Louis Malle – intende, infatti, sottolineare ambedue gli aspetti: la violazione compiuta e quella subita, ma anche la lesione, l’incrinatura, la cicatrice, che l’offesa, inevitabilmente, lascia. Ed è all’interno delle mura domestiche, quell’ambiente che dovrebbe accudire e proteggere, dove, spesso, si consumano simili forme di violenza, contrapposizione di potere e di forze. Così, da subito, Dollhouse esplicita l’idea di quello che è esposto: una camera da letto per bambole, sottovetro su un piedistallo. Presa come simbolo delle relazioni e dell’intimità, sta anche ad indicare che è il luogo dove trovano maggiore espressione quelle forme di prevaricazione e sottomissione.
Silvia Giambrone, Il danno, vista della mostra
Per questo è una camera congelata, sotto una teca, perché, dalle sue mura, nulla deve uscire, tutto deve restare compresso e contenuto. E sulla parete, una piccola fotografia in bianco e nero, ritrae una bambina che imbraccia un fucile-giocattolo, a difesa del suo ambiente ma anche per difendersi. Icone esplicitano ancora di più il concetto. In grandi collage strutture, o meglio, scheletri, di letti, esprimono dove si consuma l’intimità delle relazioni. Lo sfondo bianco, astratto e estraniante, le idealizza, le rende, appunto, delle icone. Ma siffatta immagine è disturbata dalle lunghe e acuminate spine della Gleditsia triacanthos, l’acacia spinosa, che le attraversano e da lacerti di plastica colorata. Delle grandi cornici, Mirrors, che pendono dal soffitto, accompagnate da Frames, piccole cornici poste su un lungo ripiano, senza ritratti o foto di famiglia, anch’esse attraversate, trafitte, dalle spine dell’acacia ad indicare che alcune forme di violenza non hanno sesso né età. Tutto ciò ruota intorno alla scultura centrale, Il danno, per l’appunto, da cui trae il titolo la mostra. Un busto di donna, dal grigio colore dell’incerto e dell’indefinito, compresso in una guaina contenitiva, indossata per eliminare quelle disarmonie post-parto; guaine che, come recitato da alcune pubblicità, offrono “infinite possibilità di esprimere te stessa”, senza la percezione, al contrario, della sottile forma di violenza cui le donne si sottopongono, per rispondere a quell’ideale di donna bella e proporzionata.
Daniela Trincia
mostra visitata l’8 novembre
Dall’8 novembre 2018 al 31 gennaio 2019
Silvia Giambrone – Il danno
Studio Stefani Miscetti
via delle Mantellate 14 – 00165 Roma
Orario: dal lunedì al venerdì dalle 16.00 alle 20.00
Info: t. 0668805880 – info@studiostefaniamiscetti.com – www.studiostefaniamiscetti.com