A T’ang Haywen (Amoy, Cina 1927-Parigi 1991) non piaceva che la sua arte fosse incasellata in definizioni categoriche. Non si riteneva né un pittore astratto, né figurativo, meno che mai neo-figurativo. Nel suo segno, però, c’è un che di calligrafico -complice anche l’impiego dell’inchiostro di china- che riconduce il suo lavoro all’eredità, lontana nel tempo, della propria cultura d’origine. Il suo primo insegnante di pittura e grafia fu proprio il nonno T’ang Yien, pittore e calligrafo.
Di viaggi, questo artista molto famoso in Francia ed in Estremo Oriente, ne ha fatti parecchi nella sua vita. Da Amoy, nel sud della Cina (oggi Xiamen), a Saigon -dove la sua famiglia si trasferì allo scoppio della seconda guerra mondiale- e da lì a Parigi, dove ha vissuto dal 1949 fino alla morte. Tra queste tappe fondamentali della sua vita si colloca anche il suo ultimo viaggio (in Polonia nell’agosto 1990) che dà il titolo alla mostra Le dernier voyage (L’ultimo viaggio). Mostra che porta, per la prima volta in Italia, il nucleo di lavori realizzati in quell’occasione. Si tratta di ventisette opere su carta o cartoncino -alcune di dimensioni tascabili- quasi sempre sviluppate in forma di dittico e trittico, di proprietà di un collezionista polacco, Leszek Kanczugowski.
Protagonisti di quel tour in automobile che ha toccato luoghi come Lublino, Cracovia e Zakopane, furono oltre all’artista sino-francese, l’amico Kanczugowski (storico dell’arte e, tra l’altro, direttore del Festival franco-polacco dello Chateau de La Petite Malmaison) e il giovane Philippe Belloir (docente di lettere classiche).
Il ricordo vivissimo che Philippe Belloir ha di T’ang Haywen e del loro viaggio -che descrive con freschezza nelle pagine del catalogo della mostra- è quello di una persona profondamente serena, dalla vita interiore molto intensa. Quello stesso respiro di serenità di cui vivono le sue opere.
“L’integrità era la sua forza” -afferma Belloir davanti alla serie di cinque dittici ad acquarello e china, gli unici lavori a colori della mostra romana- “Quello di T’ang fu un viaggio nel viaggio. Fisico da una parte, ma anche di ricerca spirituale e religiosa. Il suo ultimo viaggio. Neanche un anno dopo, infatti, morì all’improvviso.”
Da una decina di anni T’ang Haywen si era convertito dal taoismo al cristianesimo, frequentando regolarmente l’Abbazia di Fontgombault dove era stato battezzato con il nome di François T’ang. Di forte impatto emotivo, le opere in mostra sono un susseguirsi di paesaggi della memoria, sconfinamenti nella spiritualità. Gesti, tracce di figurazioni di una natura che non ha nulla di reale. Segni che rincorrono la sonorità dell’energia interiore.
manuela de leonardis
mostra visitata il 2 marzo 2006
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