L’idea è quella di un dialogo. Scarno, duro, serrato, silenzioso: due artiste, due opere. Alle spalle un intreccio di arte e vita. Colori, immagini, emozioni. Poetiche differenti, per un incontro inedito. Sono Marisa Merz e Rebecca Horn le protagoniste di questo quarto appuntamento del ciclo Soltanto un quadro al massimo a cura di Ludovico Pratesi e del direttore della Deutsche Akademie Joachim Blüher, serie di mostre basate su un concetto semplice quanto efficace, il confronto diretto tra due artisti: uno italiano, uno tedesco. Solo due le opere esposte, quindi, una di fronte all’altra, in un enigmatico faccia a faccia: ma non c’è nessun indizio da ricercare, nessuna somiglianza occulta che emerga improvvisamente, nessuna catartica rivelazione.
L’Uovo della Vedova di Rebecca Horn (n. 1944) -realizzato appositamente per questa occasione- riunisce alcuni elementi ricorrenti nel lavoro dell’artista tedesca: le parti meccaniche, che determinano un movimento lento, ma dalla scansione inesorabilmente precisa, le piume, la teca di vetro come contenitore ideale, clinico e sacrale allo stesso tempo.
Semplicemente poggiato contro il muro, sostenuto da un panchetto di legno, il quadro di Marisa Merz (n. 1931), un grande collage (170 x 200 cm circa), mai esposto prima di questa mostra.
Emerge, unico elemento nitido, parte di un volto, innestato su una forma che ricorda una mezzaluna, il fondo è nebuloso, sfumato nei toni caldi dell’ocra, acceso da pochi tocchi di giallo. Non c’è altro, né occorre che ci sia altro per evocare una dimensione lunare, intima, legata al percorso tortuoso della vita trascorsa, dei ricordi.
Pochi passi separano le due opere, segnano la distanza. Da un lato la macchina crudele di Rebecca Horn, costruzione esile e terribile, satura di tensione, affascinante, ipnotica, dall’altro lo spazio espanso, delicato, pervaso di malinconico stupore di Marisa Merz. Discorso sul tempo, forse. Come fosse un’invenzione a due voci.
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