Nato a Parigi nel 1972, dove ha studiato comunicazione visiva, e attualmente diviso tra la città natale e New York, Romain Erkiletlian è un artista che pare non poter operare senza muoversi entro ben definite polarità, tra figurazione e astrazione, così come tra pittura e fotografia. Riprova della prima tensione creativa è, ad esempio, la ricerca svolta da Erkiletlian tra il 2000 e il 2002 nella serie Pen, dove algide composizioni astratte, dal gusto vagamente optical, si alternavano alla raffigurazione ricorrente di un nudo maschile in pose diverse: il tutto realizzato con l’ossessiva sottigliezza delle penne bic. Lo stesso discorso ritornava nella coeva serie Alu, dove su lastre di alluminio il solito corpo maschile veniva sovrimposto a fondi di barre bicolori, con i riflessi metallici posti a loro volta in rapporto dinamico rispetto alla densità dei colori a olio.
La mostra in corso a Roma ruota ora intorno a due serie di lavori che fissano nuovi importanti nuclei tematici per l’artista, concentrandosi in entrambi i casi su quella che lo stesso Erkiletlian chiama “l’interazione tra struttura e figura” e che, da un punto di vista operativo, sfrutta appieno la tensione di cui prima si diceva tra pittura e fotografia. Disposte all’ingresso della galleria, tre grandi lastre accolgono il visitatore imprigionandolo nell’apparenza di reticoli inestricabili, i quali, una volta avvicinati, risultano essere scatti fotografici delle transenne che cingevano il Grand Palais di Parigi per i lavori di restauro avvenuti qualche anno fa.
Sfruttando le falle percettive che la serrata ripetizione di linee orizzontali e verticali provoca nell’osservatore, l’artista ottiene un primo effetto di disorientamento, amplificato dall’intervento diretto sulle fotografie con colori acrilici, pennarelli, marker, i quali nell’evidenziare -e di conseguenza, essenzializzare- particolari di incroci così come linee singole nell’intrico, fanno saltare la certezza dell’ordine fotografico che pure, dopo il primo smarrimento, si riteneva di avere trovato. Un discorso assai simile, a ben vedere, si può svolgere anche per la serie di lastre fotografiche dedicate a vedute metropolitane (ora singole, ora duplicate e appaiate per esaltarne l’astrazione dell’insieme) e in cui gli interventi su elementi di dettaglio per camuffarli o distorcerli trasforma una volta di più la composizione figurativa in reticoli di segni che necessitano nuovi ordini di lettura. Del resto, che il ritocco fosse il cunicolo segreto per collegare pittura a fotografia lo avevano scoperto già i fotografi pittorialisti dell’ottocento, Henry Peach Robinson in testa, salvo poi perdere di vista tale passaggio con il progressivo affermarsi della fotografia quale mezzo espressivo autonomo. Un recupero artigianale del dettaglio e delle latenze dell’immagine, come quello in corso d’opera da parte di Erkiletlian, diviene così interessante proprio perché laterale rispetto alla rincorsa corrente alla qualità tecnica della raffigurazione, sottolineando al contempo l’importanza della struttura nelle dinamiche della visione.
luca arnaudo
mostra visitata il 24 maggio 2006
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