Non fatevi intimidire dal fatto di dover suonare il campanello per visitare quest’esposizione: vi mostrerà le tematiche più importanti dell’arte neo-pop e offrirà alcuni spunti notevoli per riflessioni di carattere socio-antropologico. Iniziamo dalle influenze della pop-art sulle opere di Chris Dorland (Canada, 1978) e Jonathan Seliger (New York, 1955). Il primo è un giovane artista canadese che ha nelle sue radici Jasper Johns (Augusta, 1930), Gerhard Richter (Dresda, 1932) e Andy Warhol (Pittsburg, 1928- New York, 1987), come l’artista stesso ha dichiarato qualche anno fa in un’intervista sul web. Egli offre, attraverso i suoi collage fotografici, un’interpretazione agrodolce dell’artificiosità iconografica tipica dei rotocalchi rosa cui siamo assuefatti dagli anni ‘50 del boom economico. Nella sala principale abbiamo due lavori in smalto e acrilico che recano i loghi irriverentemente sottosopra di IBM, e General Electric due tra le più potenti multinazionali americane al mondo, supportati da spiritosi piedistalli di plastica trasparenti ove all’interno sono state poste lattine di Coca Cola e Pepsi.
Seliger ironizza invece sui simboli del patriottismo made in USA e sugli oggetti del vivere quotidiano impiegando cera e plastilina, materiali solitamente impiegati nella scultura: ne risulta un’insolita simulazione della tridimensionalità.
Nella stessa sala godiamo della raffinatezza di Jagannath Panda (Bhubaneswar,1970), artista indiano che, nelle due opere esposte, alterna acrilico e stoffa che ricorda gli eleganti tessuti damascati. Un dissonante accostamento tra tradizione artigianale ed emblemi della massificazione dei consumi che induce lo spettatore a meditare sulle conseguenze dell’occidentalizzazione nelle dinamiche economiche e culturali locali. Il tutto tradotto in un fine risultato di tecnica e colore.
Su un binario simile si muove il lavoro di Farhad Moshiri (Shiraz, 1963) iraniano che vive a Teheran ed europeo di formazione, il quale offre, nelle sue opere sgargianti e in primo appello quasi kitsch, un sardonico ritratto degli effetti che la globalizzazione ha sui suoi connazionali e del loro desiderio di autodeterminazione.
Una scultura che seduce e spaventa insieme quella di Rona Pondick (Brooklyn, 1952) che campeggia al centro della sala in bronzo e rame, rappresenta un albero ai cui trami culminano piccole mani. Quest’opera pare riassumere la poetica dell’artista che dà risalto al rapporto tra l’uomo e natura e le implicazioni dei progressi scienza moderna.
All’uscita rimane un sapore amaro in bocca e pare lecito domandarsi se sia ancora il caso di credere nel sogno americano o se invece aveva ragione Arthur Miller che, in “Morte di un commesso viaggiatore”, ne narra il fallimento.
ilaria carvani
mostra visitata il 16 aprile 2011
dal 23 marzo al 31 maggio 2011
American Dream
a cura di Margherita Artoni
Galleria Valentina Bonomo
Via del Portico d’Ottavia, 13 (zona largo Argentina) – 00186 Roma
Orario: da martedì a sabato ore 11-13 e 15-19
Ingresso libero
Info: tel. +39 066832766; info@galleriabonomo.com; www.galleriabonomo.com
[exibart]
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