I nomi sono noti e importanti –Barzagli, Leoncillo, Limoni, Ontani, Pizzi Cannella– ma la mostra in corso nello storico spazio espositivo romano è soprattutto di Fabio Sargentini, il poeta-collezionista e decano dei galleristi capitolini. Sorprendendo una volta di più, Sargentini si è divertito a combinare un numero volutamente limitato di opere degli artisti citati per comporre un affascinante gioco di permutazioni e variazioni, con cui trasformare la galleria in un labirinto di immagini. Forse memore delle indicazioni di Schőnberg sulla varietà disponibile nelle ripetizioni e la ricchezza musicale delle forme-motivo per la costruzione di un tema (allo stesso modo, viene da dire, di una mostra), è Sargentini stesso a spiegare nel comunicato stampa l’intento dell’operazione: “qui non si tratta di dittici, trittici, quadrittici, ma di una cosa diversa. Il senso è di aggirarsi nello spazio espositivo e imbattersi sempre nella stessa opera dell’artista: un doppio Leoncillo e un doppio Ontani, un triplo Limoni e un triplo Pizzi Cannella, infine un quadruplo Barzagli”. Al tempo stesso, il fatto che tutti i lavori esposti non siano recenti (nel caso di Leoncillo si risale fino agli anni Cinquanta) conferisce al gioco una rigorosa e significativa prospettiva storica, valorizzando i partecipanti a vicenda.
A seconda del punto del labirinto a cui si scelga di ancorare il filo, la visita può partire da ciascuna delle diverse stanze per verificare la suggestione ondivaga delle variazioni, sia nelle stesse opere in mostra che nelle loro combinazioni. Ci sono i ‘quadri spenti’ di Giancarlo Limoni, risalenti agli anni Ottanta, dove una pittura stesa a pastello impiega filamenti di colori per realizzare complesse e vibranti tessiture visive. Tre tuniche bianche di Piero Pizzi Cannella risalenti al 1991 (quando, in un’altra mostra dell’Attico, si trovavano a fronteggiare altrettante tuniche nere) sono stese ad asciugare con assorta noncuranza su tavole di logora intensità, secondo la cifra più propria del pittore romano.
Le quattro tele di Massimo Barzagli, tutte dei primi anni novanta, meriterebbero già da sole un lungo discorso a parte per la loro essenziale raffinatezza compositiva, tipica di questo artista che è maestro nell’impiegare soggetti vegetali (fiori, rami, foglie) intrisi di pigmento come matrici, lasciando impronte di misura e grazia orientale. Ma è nella combinazione speculare tra le sculture di Leoncillo e le fotografie acquerellate di Luigi Ontani che la mostra trova il suo vertice. In due spazi agli estremi dell’esposizione, le drammatiche masse terrose del primo, solcate da scie di smalto come sanguigne tracce di materia vivente, si contrappongono all’ironico gioco lezioso del secondo, ripreso nei (naturalmente pochi) panni di un San Sebastianello -i piedi posati sul pavimento della stessa galleria nel 1982- dove invece passione e sofferenza sono del tutto assenti, con un potente risultato di cortocircuito simbolico.
luca arnaudo
mostra visitata il 4 luglio 2005
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