Gianluca Marziani non ha dubbi e prende il testimone lasciato nel 2007 da Alessandro Riva con
Street Art Sweet Art al Pac di Milano. Di quella mostra, nata dopo la polemica sui murales del Leoncavallo,
Scala Mercalli costituisce una continuazione e un ampliamento, per il numero e la provenienza degli artisti invitati, per gli sconfinamenti nel design (
CaliaItalia Street Art Seats), per la concezione dell’evento, tesa a rappresentare l’emersione e consacrazione della Street Art italiana.
Radicata nel graffitismo americano degli anni ’70-’80, questa è arrivata oggi a definire, sulla scorta di precursori come
Paolo Buggiani e
Fausto Delle Chiaie, ogni gesto artistico compiuto in spazi pubblici con qualsiasi mezzo espressivo (spray, video proiezioni, fotografie, installazioni, sculture, collage, poster, stencil, sticker) a indicare un passaggio, una presenza, un grido, come ha evidenziato nel 2004 la mostra
Beautiful Losers.
Questo il criterio con cui sono stati selezionati i 44 artisti chiamati a lavorare nel Traforo Umberto I, in pieno Centro Storico, e poi a confrontarsi con un contesto diverso e istituzionale come il Foyer dell’Auditorium di Renzo Piano, passando attraverso il
mood underground del relativo garage (eccole, le tre ‘scosse’ di Scala Mercalli). Spazio che con l’arte ha sempre più a che fare: dal parcheggio di Villa Borghese che ospitò l’epocale
Contemporanea di Achille Bonito Oliva al garage dell’ambasciata elvetica a Londra, divenuto un luogo del valore di oltre un milione di sterline per i graffiti lasciati nel 2001 da
Banksy.
Quel che è cambiato, dal 1995 a oggi, in questo linguaggio gergale è “
una connessione forte con i codici comunicativi di TV, cinema, fumetto, segnaletica stradale, pubblicità, usati, ripensati e stravolti per trasmettere un diverso messaggio. Prima i muri erano una sovrapposizione di tag che occupavano uno spazio. Adesso tutto è molto più strutturato. Il muro è diventato schermo e dunque oggetto narrativo: consequenziale, progressivo, stratificato”. Una stratificazione che è insieme materiale e di memoria non cosciente.
Se è vero che molti artisti lavorano con un pattern di fondo su cui aggiungono elementi, è altrettanto vero che molti lavori riflettono modalità accettate della storia dell’arte: dall’illustrazione antica (
Ozmo) alla rielaborazione fantasy del reale di matrice surrealista (
Int55,
El Gato Chimney,
Pao,
Luze,
Serpeinseno); dal tachisme segnico (
Tawa) alla poesia visiva (
Luca Barcellona); dall’astrattismo optical (
Joys) ai codici mediatici della Pop Art (
Lex,
Dado&Stefy); dall’assemblaggio (
Why Style) e
(dé)collage neo-dada (
Airone,
Kiv) alla cancellazione (
Ivan), messa in atto sin dal 1953 da
Rauschenberg in
Erasered de Kooning Drawing.
Quello raccontato dagli artisti è un mondo acido e bulimico, fatto di elementi biomeccanici (
Senso,
Kemh,
Bol) e riferimenti hip hop (
TVBoy), contenuti sociali (
Bros,
Pax Paloscia) e autorefenzialità (
Lucamaleonte,
Diamond), tema questo approfondito negli scatti di
Marina Alessi.
Ma, al di là della voracità del mercato, c’è da stabilire cosa ha un valore d’attualità corsiva e cosa un valore estetico forte in termini di “presente”.
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Mi imbarazza vedere che non viene nominato il migliore...
ERON!
Eron ha presentato alcuni dei suoi splendidi quadri nel Foyer, mentre non ha partecipato all'allestimento nel Garage,
Il foyer nella sua estrema eterogenità e nell'ampio numero di dipinti può risultare un po' dispersivo, mentre il garage con i lavori di ampie dimensioni realizzati direttamente su parete risulta più incisivo.
Per questi motivi probabilmente, vengono citati gli artisti che più hanno rappresentato all'interno del garage, mentre gli artisti che hanno realizzato i lavori solo nel foyer risultano un po' penalizzati.
Con oltre 50 artisti del resto, risulta impossibile citare tutti.