Pittura fluida. Non stiamo parlando del
drip painting di
Pollock, specie ora che il concetto di “fluido”, come insegna Zygmunt Bauman, si è imposto all’attenzione di tutti, in primis quale metafora della modernità. La fluidità sta nel modo in cui viviamo la contemporaneità, nel diniego delle barriere tra reale e virtuale, sempre in viaggio, sospesi nei flussi comunicazionali e sopra l’idea che ogni fortezza nasconda un tesoro inespugnabile.
Se si paragonano tali fortezze ai numerosi mezzi d’espressione artistica, i tesori che ognuno di questi racchiude va mescolandosi con quello vicino e parimenti con quello lontano, in virtù di un digitale che abbatte ogni distanza e differenza.
In tal senso, l’arte cinetica si mescola con la pittura. E qui nessuna sorpresa: fin dalle prime pellicole, l’inquadratura filmica ha rincorso la prospettiva pittorica; ma
Daniele Girardi (Verona, 1977; vive a Milano) ne sovverte le rispettive aspirazioni. I suoi video sono costruiti con opere grafiche e collage montati in successione, secondo i principi dell’animazione; tuttavia, ostenta il carattere d’immobilità del singolo “fotogramma” e si priva della fluida continuità cui le stesse tecniche d’animazione aspirano, al fine di offrire effetti di realtà.
Girardi, invece, provoca una sorta di singhiozzo nel flusso filmico. I medesimi “fotogrammi” diventano poi opere autonome: “
tecnopitture”, le definisce. L’artista prende delle fotografie e ne stravolge i tratti, i colori, le forme. E quando disegna, difficilmente rende netti i contorni: tutto è in movimento. Fluido è il fuoco che carbonizza l’albero in
Inner Surface (2009) e che diventa tema ricorrente in
Wildness.
È la natura feroce a esser rappresentata, come quella della
Ginestra leopardiana. Riferimento non invalso se, come dichiara l’artista, sono le suggestioni letterarie e artistiche a guidare il suo lavoro: la natura sublime che trascende l’uomo, il quale non può che stare a guardare, affascinato e terrorizzato.
Il percorso della mostra è lineare: dall’inizio fino alla conclusione, la maggior parte delle opere sono tecnopitture, su tela o su carta; ma l’ecletticità delle forme e dei colori, nonché della composizione dei collage, non autorizza a differenziare un gruppo da un altro. Tutto il rappresentato risulta mosso, come se fosse ritratto in estemporanea. Giunti a metà, una piccola sala rientrante mostra, alla luce del solo schermo, il video in cui il fittizio albero va bruciando. Dunque, il fuoco è opera dell’uomo? Allora la ferocia del
Wildness non apparterrebbe più alla natura. Fluide sono anche le interpretazioni.
La First Gallery propone, in una rapida sommersione di colori, un allestimento regolare, laddove la grande tela e il foglio non hanno ragione di non essere appesi al muro. Degna di nota l’esposizione dello sketch book dell’artista: scorrerne le pagine dà prova del continuum del processo creativo, dove si alternano foto, immagini ritagliate da riviste, modificate, ridipinte, segnate e bozzetti ispirati.
Flusso creativo, dunque. Perché, per Girardi, rendere l’istante significa già pensare al successivo.