Probabilmente è il contesto che crea una sorta di confusione mentale. O forse è semplicemente suggestione. Però
Pietro Ruffo (Roma, 1978) fornisce parecchi rimandi. E occorre quindi fermarsi un momento per fare il punto della situazione. Per prima cosa, l’ambito. Siamo a Colmar, “
la piccola Venezia dell’Alsazia”. Per la precisione a
Grasweg, l’Istituto oggi sostituito dal
Centre d’accueil et de soins psychothérapiques Les Blés.
Che c’entra Pietro Ruffo con tutto ciò? C’entra, perché Ruffo non è nuovo al coinvolgimento “sociale” (Beslan ne è l’immediato precedente). Così l’Associazione Art dans la cité lo ha invitato ad “accompagnare” i pazienti durante il trasferimento. Perciò ha organizzato dei laboratori e realizzato nell’ingresso l’affresco
Relief du Passage. Mentre le tele di grande formato, esposte in questa nuova personale, sono quello che l’artista ha portato con sé da questa esperienza.
Ognuna è dominata da un ritratto quasi a figura intera, con una particolare prospettiva dal basso: ogni figura è così ancor più imponente. Dimensione sottolineata anche dalla mancanza di proporzioni col resto del quadro.
Ciascun ritratto, come sintetizza Ruffo, “
è un po’ la riproduzione di quello che si trova sulla scrivania di un analista: libri, cartelle mediche… I suoi strumenti d’indagine”. Abbiamo: il soggetto, il suo profilo medico, il suo ambiente, le sue fobie. Abbiamo, cioè,
Camille,
Jean-Luc,
Gérardine,
Pascale,
Georges,
Malika; e la personale patologia descritta dal brano estrapolato da un trattato scientifico, il padiglione presso il quale soggiornavano, figure mostruose a colori calate in una vegetazione che appare in filigrana. Una sorta di anamnesi. Piuttosto, un breve racconto della loro vita.
Il tutto costruito attraverso velature che, sovrapponendosi l’una sull’altra con media diversi (grafite, inchiostro, gesso e pittura), creano quella profondità trasversale, in senso letterale, quello spessore materiale e psicologico. Ciò che non li rende dei monocromi sono i ritagli a colori di figure mostruose. Durante i laboratori con i pazienti, a Ruffo è infatti venuto in mente di andare con loro a visitare il Musée d’Unterlinder, che conserva la strepitosa pala d’altare d’Issenheim di
Matthias Grünewald. Uno stupefacente polittico che, già nel Cinquecento, veniva usato per la cura del fuoco di sant’Antonio.
Anche gli odierni pazienti sono stati messi di fronte all’opera. Ognuno di loro è stato catturato da un dettaglio, fedelmente riprodotto nei ritratti. Un video dimostra (e documenta) l’effetto benefico dell’arte sui degenti. Una sorta di trittico in cui ogni riquadro riporta l’intervista al paziente e le emozioni provate di fronte alla pala; i dettagli che ha osservato e il duro paesaggio dell’Alsazia. Sembra condurre o proteggere il tutto una specie di cancello o “pareti” che si aprono – o si chiudono – su questo mondo. Costruite con alti cilindri di carta d’acquarello, sui quali nuovamente trovano posto la natura e gli inserti della pala di Grünewald.
Una struttura autoportante, che permette di realizzare un disegno di grandi dimensioni, conferendogli anche un certo movimento. Sembra proprio che i sei personaggi abbiano finalmente trovato il loro autore.
Visualizza commenti
mostra bruttina.....
equivale a dire "bella", ovvero a non dire niente ... come commento, hai perso un'occasione per stare zitto.