Ironico e dissacrante, il lavoro inedito di Luigi Ontani si inserisce in un contesto non abituale. Il NapoLeonCentaurOntano, grossa scultura in ceramica policroma (600 chili) posta nella prima sala ed immediatamente individuabile, ridefinisce uno spazio estremamente connotato e con esso la figura dello stratega cui è dedicato.
Il gusto per il colore acceso, per la policromia e la brillantezza della superficie non contrasta con il contesto, anzi ne richiama il lusso, la luce ridondante di dorature, cornici, specchi. Il nome della statua deriva dagli elementi che la compongono, cui si aggiungono riferimenti mitologici, simbolici e storici in un eccesso di significazione che poggia su una base che ricalca i confini dell’Isola d’Elba.
L’autoritratto di Ontani, abituale nella produzione dell’artista e presente in questo caso non solo nel busto del centauro ma anche nella medaglia che porta al collo, rimbalza dalla statua alla Tribù Tabù dei Grilli Napoleonici , piccole creazioni della stessa foggia e materia, disposte a tre a tre su una balaustra. Sorta di bestiari contemporanei, i piccoli Grilli (Napollone, NapolEros, NapoLeone, NapoReone, Napaolone, Nape’leone ), come devoti guardiani, mediano il passaggio al più grande ibrido con la solita ironica e sapiente fantasia iconografica, giocando sulla commistione di elementi umani ed animali.
Dietro la grande statua, sopra la mensola dello specchio, sta isolato ed un po’ nascosto un altro ma non ultimo piccolo membro della tribù, il Grillo NapImperone.
L’immagine di Ontani ha invaso il mondo napoleonico, e dopo tanta sfacciata evidente e compiaciuta presenza dimostra di sapersi anche mimetizzare. Potrebbero infatti passare inosservate le due fotografie dell’artista nelle vesti e nelle pose dello stratega, realizzate da Claudio Abate negli spazi del Museo ed incorniciate alla maniera dei ritratti.
La pratica della personificazione in altri soggetti cui Ontani è avvezzo dà qui un ulteriore e non ultima prova di maestria. L’artista risponde sapientemente alla sfida di un contesto talmente definito da lasciare apparentemente poco spazio ad interventi esterni. E lo spazio, a sua volta, dimostra elasticità nello stare al gioco dissacrante di un’ironia che colpisce e ferisce una figura decisamente non abituata a simili divertite letture.
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