Una duplice realtà, mentale e fisica, regola la seconda mostra che
Graham Hudson (Sussex, 1977; vive a Londra) presenta alla Galleria Monitor di Roma. Riprendendo la tradizione delle grandi opere del passato, dal
Merzbau alla
Tatlin’s Tower, e a pochi mesi dall’installazione realizzata per la mostra
Material Presence presso il londinese spazio 176 della collezione Zabludowicz, l’artista britannico inaugura una mostra che, per evidenti ragioni strutturali, si svolge in un percorso biforcato, la cui giunzione dovrà essere compito di ogni singolo visitatore.
Nella sala a sinistra, una grande e complessa installazione scultorea site specific, realizzata con materiale industriale, sovrasta la sala fino al soffitto. Un’opera apparentemente ingombrante, disordinata, invadente e fatiscente che, però, dopo pochi istanti di visione diventa sciolta e fluida, curata e invogliante.
Un caos di luci, suoni e colori che sconvolgono la percezione e che, insieme al processo di stratificazione di materiali trovati, quotidianamente accessibili a chiunque, conformano un labirinto di pulsioni in cui lo spettatore è immediatamente inghiottito, proiettando la sua psiche in ciò che vede e viceversa.
Questa confusione viene contrastata, azzerata e sconvolta nella seconda sala attraverso tre lavori di dimensioni ridotte. Lavori intimi che, con una parvenza d’ironia, turbano qualunque certezza razionale e rimangono in bilico fra un silenzio insolito e un movimento inaspettatamente trattenuto. Creando un’atmosfera ingannevolmente serena che, tuttavia, provoca una sensazione incomprensibilmente distaccata e fredda.
Così, le due stanze dei nuovi spazi della galleria si conformano esplicitamente come una dialettica hegeliana aperta. Che resta in attesa di trovare, attraverso l’interazione e la curiosità di ogni fruitore, e aldilà dei confini dello spazio imposto, la propria sintesi.