La mostra nasce dalla collaborazione tra gli studenti del Master in Ideazione, management e marketing degli eventi culturali organizzato dalla Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università “La Sapienza” di Roma ed otto artisti, dando così ai giovani corsisti l’opportunità di mettersi in gioco ed esprimersi. Il tema scelto non è scontato né di immediata comprensione; il concetto di tribù, riutilizzato come chiave di lettura per la modernità, si riferisce a nuove tipologie di coesione sociale che condividono nuovi valori e forme di consumo legate alla tecnologia e ai sensi. Delle innumerevoli aree-tribù che esplorano il vasto territorio della contemporaneità, gli studenti hanno scelto quelle legate alla memoria, elemento in grado di far rivivere il passato, ma anche di proiettarsi verso il futuro, costruendo una visuale da cui poter analizzare le nuove forme di rappresentazione e comunicazione. Il luogo-contenitore del progetto è la Galleria d’Arte Moderna di Roma, simbolo sia della modernità che della memoria e quindi scenario ideale in cui potersi muovere in maniera disinvolta attraverso il tempo e lo spazio.
Gli artisti invitati hanno lavorato a stretto contatto con i corsisti-curatori: “il processo di ideazione che ha portato alla realizzazione dell’opera è il frutto dello scambio e del confronto continuo” sottolinea Cesare Pietroiusti, che ha partecipato alla prima fase del progetto con l’opera La macchina del tempo.
In questa seconda tappa le tribù in mostra sono: la memoria come spazio ludico, la memoria come ancoraggio, la memoria come tempo perduto. Massimo Arduini lavora sullo spazio, ricreando nella sua installazione l’atmosfera di un salotto dalla pavimentazione a scacchi bianco-nera, ispirandosi alla pittura olandese del ‘600.
Tre sedie bianche e tre nere si muovono nello spazio come le pedine di un gioco di scacchi; il bianco, in realtà specchio, riflette la presenza e il passaggio degli spettatori mentre su uno schermo scorrono immagini selezionate da film e documentari che rievocano il passato, legate per lo più alla storia ed alle tradizioni delle nostre città.
Senza dubbio più intimistiche le installazioni di Iginio De Luca e Roberto Piloni. Il primo, lavorando sulle immagini e sul concetto di memoria intesa come ricerca delle proprie origini, scava nell’intimo dei rapporti familiari ed affettivi dell’individuo, creando un percorso dalla forma fluida e scorrevole. La planimetria di un appartamento è composta da mini-proiezioni di vecchi filmini in super 8 che riprendono momenti dell’infanzia. Roberto Piloni, invece, per rappresentare questo particolare periodo dell’esistenza, ha realizzato un’installazione sonora creando delle scatole parlanti che raccontano ricordi di una generazione cresciuta nell’epoca delle comunicazioni di massa. Il “tempo perduto” di Proust viene ritrovato e rivissuto: lo spettatore ascoltando i ricordi altrui ritrova emotivamente parte dei propri.
fabrizia palomba
mostra visitata il 26 luglio 2005
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