Sono passati dieci anni da quando Nelson Mandela è stato eletto presidente del Sudafrica, ponendo fine a un periodo insanguinato della storia contemporanea. Per celebrare questo decennio la città di Roma dedica agli artisti sudafricani una sezione speciale all’interno del Festival internazionale FotoGrafia. Le mostre principali della sezione, 10 anni 10 voci e Sugar in the petrol, sono collettive di artisti che hanno reinventato un modo di fare arte e testimonianza. Se prima la fotografia era soprattutto di tipo documentaristico, ora diventa una ricostruzione del passato e di se stessi, un’analisi e un’indagine per capire quello che è stato e per darsi un nuovo ruolo nel presente.
Sugar in the petrol si articola attorno a cinque fotografi e alla partecipazione di Jon Bang Carlsen, regista danese che, attraverso il video Addicted to Solitude, racconta la storia di isolamento vissuta anche dai bianchi nel clima dell’apartheid.
Dove c’è violenza e desolazione nessuno può dirsi immune. La violenza non è solo quella scatenata dai bianchi contro i neri, ma anche quella dei neri contro altri neri, come si vede nelle opere di Doris Bloom (presente anche con una personale allo Studio Stefania Miscetti). Le sue non sono immagini prese dalla realtà, ma ricostruite partendo dalla memoria, finzioni dai colori pop che scioccano per il loro truce realismo unito alla crudezza dei soggetti. Un uomo sgozzato abbandonato per terra poggiato a una porta e una donna nuda percossa con la frusta sono soltanto degli esempi.
La stessa appariscenza cromatica caratterizza la serie Woman in private spaces di Zwelethu Mthethwa. Si tratta di ritratti fotografici di donne e ragazze in ambienti privati, dalle pareti dipinte di verde chiaro o tappezzate di giornali. Il senso è completamente ribaltato. Nelle sue foto si respira aria di riscatto e ai soggetti viene riconosciuta una dignità che li porta a scegliere da sé la posa, i vestiti e l’espressione con cui vogliono essere ripresi.
Il passaggio dalla fotografia come documentario a una fotografia come poesia è particolarmente esplicito in Andrew Tshabangu, attento osservatore di momenti di vita pubblica legati al misticismo della vita religiosa. Le sue foto, fumose e in molti casi poco definite, ne accentuano il carattere spirituale, ponendolo a metà tra un linguaggio del vero e un uso pittorico dell’immagine. Questo passaggio è completamente compiuto nella composizione trittica di Abrie Fourie dove una vista sul mare ha colori così sfumati e incerti, come intrecciati con la nebbia, da sembrare a prima vista un dipinto.
Il risultato generale è di un rinnovamento stilistico notevole, sia che esso riguardi il colore, i soggetti o l’atmosfera spirituale dell’immagine. Esso è una tappa di un percorso, come sottolinea Usha Seejerim, l’artista più giovane del gruppo, appena trentenne, fotografando particolari insoliti di scenari urbani: camion, segnali stradali, pezzi di asfalto. Per lei il viaggio diventa metafora della vita e l’immagine del camion richiama al meccanismo di caricare e scaricare materiale, di cambiare il nostro quotidiano. Come sicuramente è accaduto in questi ultimi dieci anni in Sudafrica.
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