Da tempo impegnato a definire una propria area operativa avente per lati principali il concettuale e il minimale, ma con una messe di altri più o meno evidenti referenti agli angoli,
Roberto Piloni (Roma, 1966) presenta in questa sua nuova personale una serie di quindici opere realizzate nell’ultimo biennio, dove l’accennata tensione definitoria perviene a una significativa misura, in modo particolare nei lavori di piccole dimensioni.
Quella di Piloni è un’arte colta, sfuggente e allusiva, che astrae dalla materia non tanto (o non soltanto) sottraendone peso o forma, secondo la lezione del vecchio minimalismo, quanto spogliandola di ogni solennità: si verifica dunque il ricorso intercambiabile a elementi diversi, da grani di pepe a inserti ready made in materiali plastici o metallici isolati dalla loro quotidianità – prima ancora erano stati gli spilli, il legno, l’ardesia – con una varietà di studiata leggerezza che induce chi osserva a pensare subito a
Marcel Duchamp come più opportuno referente per l’occasione (a partire, con una certa probabilità, dal titolo della mostra,
Interpunzioni, anche, dove l’‘anche’ sembra fare il verso a quell’enigmatico ‘même’ della celebre
Mariée mise à nu par ses célibataires).
Il materiale che, a ogni buon conto, ritorna costante nei lavori esposti è una carta grafica dalla fragile e stropicciata consistenza, disposta come un velo – di Maya, viene da aggiungere – intorno a inserti oggettuali perlopiù cavi, di cui amplifica i colori puri e acidi, dal rosa al giallo fluorescente, mettendone in risonanza la presenza discreta con il candido spazio circostante.
Si legge nel bel testo introduttivo di Alessio Verzenassi come “
la poetica di Roberto Piloni si edifichi sulla scelta di pochi aneddoti che, voluti in forme più o meno elementari, ricoprono un ruolo centrale nel senso e nel linguaggio”, il che concorda con quanto tempo addietro rilevava invece Franco Speroni a proposito di “
materiali dissonanti che introducono zone di sensibilità sul basso continuo delle superfici astratte”.
Le interpunzioni di Piloni, in effetti, scandiscono un ritmo visivo intimo ma mai completamente pacificato, dove i minuscoli vuoti selezionati dall’attenzione creativa dell’artista giocano con la dimensione dell’astratto, insieme tentando però una misura delle cose più ampia, a suo modo inesplicabilmente permanente nel disegno delle forme prima ancora che nei progetti dell’arte.
(A pochi passi dalla galleria, poi, chi non abbia troppa fretta potrà andare a cercare, sul retro dell’abside dell’antica basilica di Santa Pudenziana, una polita lastra marmorea con un foro al centro che, almeno a chi scrive, è parsa di sorpresa il miglior contraltare dei lavori in mostra, come una conferma atemporale al gioco delle forme di cui si è andato qui considerando.)