A Piazza del Popolo si recita a soggetto, mentre una telecamera filma la scena, compiendo una rotazione di trecentosessanta gradi. Lo sguardo della macchina segue il profilo ellittico del sito, studiato dal Valadier per amplificarne la spettacolarità. Nel set naturale della piazza il collettivo ZimmerFrei (al secolo Anna de Manincor, Anna Rispoli e Massimo Carozzi) si è insediato per otto ore, ma la ripresa è stata compressa in ventiquattro minuti, che alludono alla scansione cronometrica del giorno.
E il tempo si rivela, sin dalle prime battute, l’elemento chiave di Panorama, video realizzato ad hoc per la mostra. Un tempo arbitrario, squadernato in una molteplicità irriducibile allo standard vettoriale, che si espande e contrae come un elastico.
Il nastro magnetico è il supporto più idoneo a captarne il ritmo: lento dei performer e convulso della metropoli. I primi compiono gesti rituali -dormire, respirare, fumare– che si richiamano ad una sfera intima e familiare, identificata nella piazza. Qui, rannicchiati sulle statue della fontana, sdraiati sui gradini, o in piedi sul selciato, s’integrano perfettamente con il contesto urbano: una seconda natura, addomesticata dalla frequenza quotidiana e stanziale. Al contrario, la realtà sembra fluire in un caos frastornante e schizofrenico, amplificato ad arte per mostrarne l’aberrazione.
Piazza del Popolo, diventa, da salotto cittadino, un non-luogo asettico e dequalificato; una zona franca invasa da una massa anonima ed informe. Uniche presenze autenticamente vitali, segnalate dalle tinte accese degli abiti, gli attori, che si muovono in un universo parallelo e straniante: alieni capaci di tele-trasportarsi, clonandosi alla velocità degli ultra-corpi. Li vediamo sdoppiarsi con lo scatto fulmineo di una pattuglia ninja, bruciare lo spazio come un raggio fotonico, o un’eco sonora. Tale ubiquità invita a liberarsi della coercizione spazio-temporale, per sondare nuove frontiere psico-fisiche. Perciò, il topos ambientale è rovesciato nel suo alter-ego bizzarro e surreale, per svelarne l’essenza polimorfa ed infinitamente esplorabile.
Non a caso, il video è corredato da un’installazione –Stereorama– in cui cinque visori stereobox inquadrano altrettante vedute. Gli oggetti ricordano i gadget turistici con gli scorci più suggestivi di un luogo, simili ad una fotocamera miniaturizzata. Chi non ne ha avuta una? Clic, il Colosseo; clic, San Pietro; clic, Fontana di Trevi. All’insegna di un sano vouyerismo, curioso di carpire i segreti celati in un paesaggio da cartolina. Lo stesso sguardo furtivo spinge gli artisti a coniare visioni inedite della città. Dalle rovine immortalate nello stile di Piranesi, alla poesia decadente di una fabbrica abbandonata del quartiere Ostiense.
maria egizia fiaschetti
mostra visitata il 28 ottobre 2004
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