Mica facile rimanere, come si suol dire, coi piedi per terra. Meglio osservarli, quei piedi; al limite provare a ritrarli. Arrivando a scoprire, come succede con Françoise Pétrovitch (Chambery, 1964; vive a Cachan, Francia), che spiccano il volo –scarpe comprese– senza staccarsi dal pavimento.
Per stare su, in effetti, le carte proposte per questa personale romana danno l’impressione –nonostante il formato sia di quelli generosi– di non aver bisogno nemmeno degli spilli. Bastano –si direbbe– i tacchi di quelle stesse scarpe, sospese nella porzione di cielo che fa da sfondo.
Così, tutta l’eleganza della donna più desiderabile prende a fluttuare davanti ai nostri occhi. Il suo corpo –tra calze e cinturini, stivali e pantaloni– improvvisamente è arrivato lassù. Per metà, anzi, è già fuori della raffigurazione. Da dove uno sguardo carico di elucubrazioni –il suo, stavolta– scende giù dritto, in picchiata. Si direbbe che prende di mira l’asfalto. Visualizzando ombre colorate, popolando lo spazio calpestabile –che diventa lo specchio dei suoi stessi pensieri– di presenze concrete e fulminanti. Senza indugiare, quasi ritagliando. Qualche volta addirittura con l’urgenza icastica della visione (almeno in apparenza) più quotidiana. Come a dire che l’introspezione al tempo dello shopping predilige, un po’ a sorpresa, l’approdo della semplicità.
Per il resto, la sensibilità lavora di nuance: la vertigine della silhouette si sposa con la fluidità dell’inchiostro, componendo una seduzione fatta di gouache variopinte ma assai calibrate.
Poi, a far da contrappunto, spazio alla smagliante fissità della ceramica. Un gruppo di creaturine avanza frontalmente, in una sorta di fregio la cui serialità minimal ne esalta –per contrasto– proprio la conformazione bislacca. Personaggi che sembrano materializzarsi, a pensarci, direttamente da un cartoon low-fi. Nessuna allure giocosa, però: piccoli demoni attoniti, di quelli che commuovono anche gli adulti. E infatti nella stessa sala, isolato come un trofeo, un cerbiatto ha gli occhi cavi e splende a sua volta come un fantasma.
Ma altre sculturette luccicano tutt’intorno. Ebbene sì, ancora ricercate calzature, collocate a terra –a due a due– come in un appartamento qualsiasi. Appuntite, rotanti, dai colori scintillanti: piccole trappole che stanno in mezzo ai piedi. Occasioni, forse. Fatte apposta per inciampare. E che invece vanno prese al volo, come accade nei grandi fogli. In cui tutto è raccontato con la grazia silenziosa del rigore.
pericle guaglianone
mostra visitata il 4 dicembre 2004
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