Gli effetti speciali utilizzati da
Annie Ratti (Mendrisio, 1956; vive a Como) non vogliono stupire, ma delicatamente animare poetiche emozioni, stuzzicare maliziose riflessioni e caleidoscopiche associazioni, inevitabili quando tutto viene reso attraverso la semplicità. Infatti, cos’altro c’è di più semplice della Luna? Una semplicità apparente, però, poiché colma d’infiniti rimandi e carica di svariate simbologie, a cui l’immaginario l’associa.
La piccola sala della galleria è stata dipinta completamente di nero. Sulla parete di fondo è proiettata la Luna in tutte le sue fasi. Al concludersi della sua evoluzione, un tenue ologramma compare al centro dello spazio, visibile per alcuni istanti, sospeso a mezz’aria, leggero ed evanescente.
E, avvicinandosi alla vetrina, sembra di guardare attraverso un grande cannocchiale, che vertiginosamente avvicina l’astro a noi e ci illude di poterlo finalmente toccare. Un nero intenso, come quello di un cielo di notte senza stelle, è quello che ricopre completamente tutta la superficie dello spazio; un nero che, così, annulla ogni profondità. E ci assorbe, facendoci sentire più vicini al satellite sospeso nell’universo. In fondo, vicina e possibile, la Luna compie il suo eterno percorso attraverso le sue affascinanti fasi da luna crescente a luna piena, a luna calante fino a luna nera.
E solo chi sa aspettare, solo chi si lascia assorbire e risucchiare dentro questo virtuale vuoto può assistere all’apparizione. Perché, come per tutte le apparizioni, esiste un momento ben preciso in cui il fenomeno si manifesta, e solo a chi sa guardare. Altrimenti tutto pare banalmente seguire il regolare flusso delle cose. È proprio nell’attimo sospeso tra la fine di un ciclo lunare e l’imminente inizio del successivo, nel buio più totale, che avviene la rivelazione. Gradualmente “prende corpo”, librato a mezz’aria, un Buddha, nella sua nota posizione, seduto a gambe incrociate, con le sue altrettanto note rotondità e serafica espressione del volto.
Così, seguendo la Luna, nell’ordine inverso e inverosimile di un’epifania, sembra di riuscire a trovare, finalmente, il vaso di Pandora posto alla fine dell’arcobaleno.
Sembra che la Luna si trasformi in una novella stella cometa che indica ai passanti uno straordinario evento, che sia una sorta di anello di congiunzione tra la dimensione terrena, in cui si trova lo spettatore, nel fragore popolare di un vicolo di Trastevere, e quella spirituale. E questo lavoro, appositamente creato, dove domina l’evanescenza e la leggerezza ma anche il buio, se messo a confronto con la mostra precedente all’Edicola, sembra quasi essere il “negativo” di
Yan Lei, dove invece dominava la luce. Ma entrambi i lavori sono caratterizzati dalla finzione più assoluta. E se l’intento dell’artista era invitare alla meditazione, ancor più forte è l’invito in questo preciso periodo, alla luce degli eventi in Birmania. E addirittura sembra che stavolta, pur rotolando sui marciapiedi, le porte del buio abbiano risposto affermativamente alla Luna.