Mitizzazione dell’artigianale quotidianità o demistificazione del fare arte? La casualità guida le scelte non scelte dall’uomo e il
Gruppo Aris (Brescia, 1998) l’asseconda in pieno, sfruttandola come criterio di valutazione per una cernita non troppo rigida. Qualsiasi persona comune – e se è persona è già comune – incappi nella loro progettazione artistica può infatti essere soggetto a una “messa in mostra” individuale e biografica.
Ferdinando Cinini,
Martino Martinotta e
Riccardo Simoni collezionano dal ‘98 le reliquie materiali donate da Sandro Rosati, da Gianpaolo Festa, dalle sorelle Sandra e Silvia Barbieri e da molti altri individui, dopo aver dato loro la possibilità di raccontarsi ed essere così sottoposti al processo di mitizzazione. Don Celestino Barbetti è l’ultimo “
adepto mitizzato”, esposto presso la neonata sede della Galleria Wunderkammern a Torpignattara, dove occupa l’intero salone principale. Subito all’ingresso, infatti, una collezione di teche in vetro accuratamente numerate contiene erba in fasce ormai essiccata, proveniente dall’intervento di potatura realizzato dal parroco – r
ipreso in un video -, a cui piace ricordare come trascorreva i tempi d’infanzia in compagnia dei suoi zii e della morbidezza del fieno di Brescia.
Le indagini private a cui Don Celestino è sottoposto fanno strada al completamento del mito. Ecco dunque che, più avanti, gli Aris lo riprendono mentre “confessa” la sua vita, incastonando la ripresa all’interno di un box trasparente, a grandezza naturale, su cui si leggono le date principali di un’esauriente biografia. A questo punto il processo di mitizzazione può essere terminato con la seconda e ultima fase, quella concreta, ossia la catalogazione: il “personaggio-mito” dona al Gruppo ciò che vuole, in assoluta spontaneità. Ora dunque una tunica nera, una vecchia stola risalente al ‘75 e uno scacciamosche sono di proprietà degli Aris e, insieme a un calice color oro e a una teiera, sono esposti singolarmente, sotto teca anch’essi, marchiati con una vivida cera lacca, quasi a sancirne l’ormai indiscutibile proprietà d’appartenenza, e classificati per mezzo di un scheda tecnica.
Non si parla più di oggetto duchampiano, estrapolato dal proprio contesto funzionale quotidiano ed elevato a opera d’arte; l’oggetto in questione, per gli Aris, è un oggetto mitizzato e non un oggetto artistico. È un oggetto donato dal mito. Il “Grande Fratello” mediatico degli Aris si ridimensiona dunque per entrare nella contemporaneità artistica, con ironia e improvvisazione; si allontana da miti celebri e riconosciuti, e mitizza solamente la banalità.