Seppur vicini a
Renoir,
Degas e
Manet, gli italiani a Parigi offrono un
quadro della società dell’epoca diverso rispetto alla visione cristallizzante
ed esteticamente impeccabile dell’Impressionismo. Più indipendenti dalle teorie
del colore, si collocano a cavallo fra il piacere della tecnica e l’interesse
per la realtà, offrendo uno spaccato vivido, sempre cangiante, lanciato verso
la scoperta.
Giovanni Boldini (Ferrara, 1842 – Parigi, 1931) ritrae in maniera mobile
le scene, senza catturarle una volta per tutte, con una curiosità generalizzata
e spensierata, con l’ironia e la leggerezza derivanti di chi sa che il bello
non si esaurisce in un soggetto. Si può gustare la vivacità di due donne sedute
al tavolino di un caffé senza farsene rapire, senza immaginare la scena come
unica e indimenticabile.
La cadaverica modella dai capelli rossi, che ci fa
scoprire d’un tratto un lato assai audace dell’artista, non è un personaggio da
romanzo, piuttosto è l’espressione di una curiosità che non discrimina fra gli
appartamenti aristocratici,
i caffé alla moda, i bar più caotici e la stanza di
un bordello. Le pennellate corrono veloci verso i lati della tela, e oltre,
dando il senso di una continuità non già determinata. Ragion per cui i ritratti
sono incontri che potrebbero evolversi o allontanarsi per altre strade; gli
sfondi sono angoli di luoghi da continuare con l’immaginazione e la
disponibilità al divenire.
L’accostamento dei diversi
Italiani a Parigi, simili per ispirazione e
formazione artistica, fa risaltare ancor più il carattere artistico di ognuno,
dando visibilità agli ingredienti pittorici, con l’opportunità per lo
spettatore di acquisire consapevolezza sugli effetti che i quadri producono, oltre
il piacere dello stupore.
Affianco a
De Nittis, i primi bozzetti di Boldini sembrano piatti,
superficiali. Hanno però la gioia del contrasto di colore, il divertimento di
un pennello fine e agile, la libertà del racconto, l’animazione teatrale,
rispetto ai più romantici, delicati, fissi come un cielo da neve, quadretti di
De Nittis, che aspirano al dopo e rimangono malinconici in plumbee atmosfere
parigine.
Corcos fonde la nitidezza superficiale del disegno con la
vastità di un orizzonte, sorprendendo poi con l’eterogeneità del suo stile, a
tratti romantico, ma con un’impronta simbolista di fondo. In
Zandomeneghi il racconto si colora, diventando
quasi illustrazione per l’infanzia dalle cromie pastello e dalla composizione
equilibrata. In
Mancini, infine, svanisce l’ottimismo e aumenta il pathos verso bambini
scarni e idealizzati.
Le opere in mostra raccontano una Parigi trasfigurata da
una condizione di gioia, di eccitazione e di espansività. Denudata, d’altra
parte, dagli occhi indagatori e schietti dell’estraneo, che non ha un’identità
da consacrare.