Stefano Canto (Roma, 1974) non è nuovo a sperimentazioni con materiali di seconda mano, dalle camere d’aria alle catene di moto e trattori; tuttavia, questo suo ultimo ciclo di lavori – inserito nel progetto
Segnal’etica – si spinge un po’ più in là nell’indagare con sguardo partecipativo, mai didascalico però, una realtà mondiale che convince sempre meno, soprattutto nell’ambito dell’ecologia e degli scenari bellici.
Lo
stato vegetale del titolo, esplicitamente richiamato da
Foreste e
Pioggia, realizzati in nastro rosso rifrangente, rievoca una dimensione naturale ma non bucolica a cui riavvicinarsi, in opposizione al pericolo atomico incombente simboleggiato da
Nuvola atomica, realizzata con catadiottri a farfalla, che si ritrovano anche in
New Jersey e che restituiscono una dimensione fortemente estetica a opere dal potente contenuto e dalla grande comunicatività.
A bilanciare quello che rischierebbe altrimenti di scivolare nella retorica degli allarmi sul clima e sui disastri nucleari, ormai all’ordine del giorno, c’è la capacità di Canto di offrire non solo una seconda vita a materiali tipicamente urbani, ma anche l’evidenza artistica, che conferisce sempre un secondo piano di lettura alle opere.
A luci spente, affidandosi alla sola illuminazione dei lampioni e delle insegne dei negozi, la mostra cambia completamente:
quelli che sembravano scheletrici rami d’albero ora sono fulmini che squarciano la tela; l’onda fotografata e ricoperta di catadiottri rivela un tracciato sinuoso completamente diverso; la nuvola atomica si accende di rosso o, se guardata in controluce, mostra una pioggia di monete che ricadono su un’ignara bambina, impegnata a cogliere un fiore.
La stessa funzione di moltiplicazione delle letture è condivisa dall’effetto di trompe l’oeil creato dai disegni a matita, realizzati direttamente sul muro, quasi a indicare un’espansione della tela per un verso o, al contrario, un suo successivo inserimento in un contesto preformato. Solo così il profilo d’uomo con la motosega in
Foreste acquista senso e significato, prefigurando l’autodistruzione dell’uomo, come un animale che annienti il suo stesso habitat.
Unico neo, non aver potuto osservare l’installazione a forma d’albero che si allarga sulla piazza, realizzata appositamente per l’inaugurazione e di cui resta la documentazione fotografica. Opportunamente illuminata dai fari di un’automobile, è figura di una natura che caparbiamente resiste e mette radici anche nel cuore pulsante della città, ripetendo all’infinito la sfida all’uomo per non farsi governare.