Già dal 1953, apprezzato fotografo,
Elliott Erwitt (Parigi, 1928; vive negli Usa) ha cominciato a far parte della prestigiosa agenzia Magnum.
Aron Demetz (Vipiteno, 1972) ha studiato la scultura lignea in prestigiose scuole in Italia e all’estero. Le loro strade si sono unite a Roma, nell’elegante spazio della First Gallery. Il desiderio prepotente di interrogare il mondo che ci circonda, di sfidarlo nel fornire risposte in grado di appagare mente e cuore, di percepirne le sfumature e le contraddizioni, sempre nel rispetto delle regole dell’arte, è lo stesso in entrambi. Le venti fotografie di Erwitt cingono le sei sculture di Demetz, avvolgendole come per contenerle in un abbraccio.
I volti impassibili, raffinati dei soggetti ritratti nelle sculture non suggeriscono niente di algido; al contrario, rimandano a qualcosa di aleatorio ma presente, di indefinito ma costante. E, soprattutto, danno un senso d’inquietudine che spinge alla riflessione. L’urgenza di comunicare guida anche l’obiettivo fotografico di Erwitt: è chiaro come il suo intento sia sempre stato quello di fornire una testimonianza che fosse sì oggettiva, ma al tempo stesso sottilmente sarcastica e suscettibile di diverse interpretazioni.
Le sculture di Demetz si guardano attorno, muovendosi nello spazio, pur nella loro immobilità, grazie alla leggerezza della mano dell’autore. Queste figure, sobrie e disciplinate (come l’uomo inginocchiato in
Metamorfosi I, 2005), sembrano ad esempio accorgersi che il ritratto enigmatico di Sofia Loren e quello principesco di Grace Kelly, realizzati da Erwitt negli anni ’50 e ’60, sono posti accanto ai visi, agli occhi, alle espressioni della povera gente, catturata nella miseria quotidiana.
Eppure non c’è stridore tra ricchezza e povertà, compostezza e sentimento, celebrità e anonimato: la donna di
Managua, Nicaragua (1957) e il bambino di
Colorado (1955) si scoprono nell’espressione ieratica della scultura
Purificazione I (2007).
La lunga strada già percorsa dal fotografo, costellata di trionfi e soddisfazioni, s’incontra in modo del tutto naturale con quella da poco cominciata ma molto promettente dello scultore italiano: passato e futuro si intrecciano in un presente ricco di sfumature inedite, in cui l’arte mostra la sua grande capacità di unire anche i mondi più distanti.
C’è un legame dunque tra l’ironia drammatica degli scatti di Erwitt e la delicata poesia del legno di Demetz. È un filo sottile, dal sapore dolce-amaro, ma che si percepisce quasi materialmente nel momento in cui si osservano le opere di due artisti, così straordinariamente generosi nell’offrire una continua rappresentazione della realtà.