Flat Pack Nature è il titolo dell’ultimo lavoro di
Richard Woods (Chester, 1966; vive a Londra),
realizzato site specific per la sua terza mostra da S.A.L.E.S. a Roma. Scultore
atipico, Woods parte dalla terza dimensione per appiattirla in pitture e installazioni:
l’elemento naturale, sebbene evocato, diventa motivo e ghirigoro, fregio o
decorazione. Il suo riferimento è infatti l’arte “minore” o applicata, come
tradizionalmente viene definita.
L’opera di Richard Woods guarda al movimento inglese Art
and Craft, capitanato dall’eclettico
William Morris nel XIX secolo. Quegli artisti, com’è
noto, cercavano di coniugare l’espressione artistica e le competenze tecniche
artigianali con le nuove possibilità offerte dalla produzione industriale di
tipo seriale. Nonostante il riferimento estetico dell’artista inglese sia la
produzione di questo movimento, da S.A.L.E.S. si assiste a una proposta
nettamente diversa, nuova, contemporanea.
Il problema non è più far sopravvivere l’arte alla
rivoluzione industriale, come per Morris e i suoi, ma si viaggia sui binari
autoreferenziali del contemporaneo. È l’artista, non l’arte, a essere oggetto
di discussione. L’opera è traccia del pensiero, prolungamento della volontà.
L’artista contemporaneo ribalta a suo piacimento la realtà e detta legge
basandosi su punti di vista personali, per coinvolgere, stravolgere e ribaltare
l’esperienza dell’osservatore. L’opera non viene esperita come qualcosa da
guardare esclusivamente, ma come possibilità di mettere in discussione la
realtà attraverso i sensi e l’intelletto.
In mostra vengono presentate ripetizioni di pattern
floreali modulari stampati su pannelli di alluminio che stanno alle pareti e si
alternano a quadri di misura più grande. Sul pavimento, pronti per esser toccati
e calpestati, i pannelli in alluminio formano un grande tappeto floreale in cui
violare, dice l’artista, il consueto rispetto per l’opera d’arte.
Per Woods la dimensione fuori scala e l’utilizzo inconsueto
dell’opera sono fondamentali, dato che producono uno spaesamento nello
spettatore. La dimensione concettuale del suo lavoro è preponderante, così come
il costante tentativo di trovare formule sempre nuove per decorare gli spazi
quotidiani, anche a partire dalle case che abitiamo.
In Italia alla 50. Biennale di Venezia, e alle personali a
Milano e Torino, oltre che a Roma alla S.A.L.E.S. già nel 2003 e 2006, dopo le
ultime mostre di quest’anno al Victoria & Albert Museum, alla Perry
Rubenstein Gallery e alla Lever House di New York e al Turner Contemporary,
l’artista torna a Roma. Una buona occasione per vederlo.